Filippo Sardella Presidente Istituto Analisi Relazioni Internazionali
Ucraina è stata il primo colpo. L’Iran, la risposta.Ma quello che sta accadendo davanti ai nostri occhi non è solo escalation. È molto di più
È il ritorno della logica simmetrica: durante la Guerra Fredda, USA e URSS non si colpivano mai direttamente. Combattevano in Corea, in Vietnam, in Afghanistan.
Oggi succede lo stesso:
La Russia attacca l’Ucraina per respingere l’avanzata NATO.
Gli Stati Uniti colpiscono l’Iran, partner strategico di Mosca e Pechino.
Perché? Per inviare un messaggio chiaro: “Tu destabilizzi il mio fronte orientale, io ti destabilizzo la retrovia mediorientale.”
Non si tratta solo di nucleare o di Israele. Si tratta di bilanciare la partita globale, colpendo un proxy alla volta.
Donald Trump applica la sua visione transazionale alla geopolitica: ogni azione deve avere un prezzo, ogni attacco un controvalore.
Se la Russia ha cambiato le regole del gioco invadendo Kiev, allora anche Washington può cambiarle colpendo Teheran.
Non con dichiarazioni. Ma con bombardieri stealth.
E qui entra in gioco l’ipotesi più inquietante:
E se tutto questo fosse una premessa brutale per una nuova Yalta?
Non tra vincitori, ma tra potenze stanche della guerra per procura, pronte a rinegoziare sfere d’influenza.
Non ci saranno trattati solenni. Solo linee rosse silenziose, accordi informali, e nuovi equilibri da imporre – prima con la forza, poi con la diplomazia.
Se Russia e Stati Uniti colpiscono i rispettivi proxy, non è per vincere, ma per forzare un compromesso globale.
Per riscrivere – sotto traccia – l’architettura multipolare del XXI secolo.
Yalta 2.0 non è il futuro.
È adesso.
Ed è il prezzo da pagare per non cadere nella guerra totale.