Il presidente israeliano Herzog: “Ci si aspetta che Netanyahu prenda una decisione drastica sul suo futuro politico, stringendo un accordo con il procuratore generale e ritirandosi dalla scena politica israeliana in cambio della chiusura dei casi di corruzione a suo carico.”
Difficile dire se e quanto ci sia di vero in questa notizia. Herzog è comunque un esponente di altissimo piano dell’establishment israeliano, e difficilmente farebbe una dichiarazione del genere, nel momento in cui il suo paese attraversa una crisi grave ed una guerra su più fronti. L’ipotesi più probabile, quindi, è che questa sia una delle ipotesi al vaglio, e che serva a garantire una sorta di duplice salvacondotto: a Netanyahu per sfuggire al carcere (e non è escluso che si arrivi anche ad una revoca del mandato della CPI), e ad Israele per uscire dal cul-de-sac in cui si è cacciata. Una sorta di patteggiamento, con Netanyahu che si assume di fatto tutte le colpe (personali e politiche) in cambio dell’immunità, e che così facendo scarica lo stato ebraico dalle sue responsabilità (un po’ come Trump cerca di scaricare gli USA dalla responsabilità nella guerra russo-ucraina, attribuendone la colpa a Biden). Sarà un caso, ma la Segre ora fa la medesima operazione con Netanyahu.
Se questo è il disegno – o quanto meno una delle opzioni sul tavolo – probabilmente con l’uscita di scena di Bibi finirà anche la grosse coalition con l’estrema destra e i partiti religiosi, per fare spazio ad una nuova maggioranza che includa l’attuale l’opposizione. Questa sarà anzi la cartina di tornasole per capire l’effettiva portata dell’operazione. Se oltre a Netanyahu verranno giubilati anche Smotrich e Ben-Gvir, vuol dire che nell’operazione di riequilibrio del Medio Oriente ha prevalso la linea Trump (che a sua volta ha appena liquidato, promoveatur ut amoveatur, il falco anti-iraniano Waltz). Staremo a vedere cosa accadrà nelle prossime settimane e mesi.
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