Con grande rispetto verso la sensibilità di tutti, ma con altrettanta onestà, mi permetto alcune personalissime riflessioni sul pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Credo infatti siate ormai tutti venuti a conoscenza della sua morte, avvenuta questa mattina.

Bergoglio: un Papa che la narrazione ufficiale ha elevato a paladino degli ultimi, dei poveri, degli emarginati e dei fragili. Una figura dipinta come rivoluzionaria, in particolar modo per la sua vicinanza agli esclusi, ma che merita un’analisi più lucida e meno compiacente. A mio avviso, consapevolmente o meno, il suo pontificato, più che proteggere ed elevare i ceti più poveri e tutelare i fragili, ha finito per danneggiare la classe media, allineandosi di fatto con le strategie delle élite globaliste e finanziarie, orientate alla dissoluzione dei corpi intermedi e alla precarizzazione generalizzata. In sostanza, ciò che fragili e poveri hanno davvero ottenuto è stata una compagnia più numerosa: un’espansione della loro condizione soprattutto in Occidente.

Il suo stile comunicativo è stato contraddittorio, strategicamente aporetico, soprattutto su questioni controverse e delicate: un continuo colpo al cerchio e uno alla botte, che ha disorientato i fedeli e reso ineffabile ogni orientamento dottrinale. Rivelandosi, alla fine, un boomerang probabilmente inaspettato.

Si è dichiarato contro l’aborto, mentre manteneva un dialogo oserei dire compiacente con i suoi più accesi sostenitori. Ha criticato le ideologie di genere e la diffusione dell’omosessualità nella Chiesa, mantenendo tuttavia posizioni ambigue e spesso concilianti verso le teorie più controverse sulle relazioni e la sessualità. Questa ambivalenza ha generato confusione, non chiarezza.

Ha mostrato un’attenzione ossessiva per i migranti, arrivando a colpevolizzare interi popoli per la loro presunta incapacità di accogliere, empatizzare e celebrare la diversità. Tuttavia, è rimasto cieco – o volutamente silenzioso – sulle cause profonde delle migrazioni: guerre, sfruttamento economico, ingerenze geopolitiche, e soprattutto i piani delle élite tese alla destabilizzazione e frammentazione delle società. Molte volte ha persino legittimato i principali attori di queste malate geometrie di potere.

Ha promosso una spiritualità dal sapore globalista, una religione civile del “volemose bene”, che ha finito per svuotare di ogni contenuto trascendente la fede cristiana, pur dichiarandosi radicata in Cristo e nei Vangeli. Un paradosso che rivela tutta la crisi dell’identità cattolica occidentale.

Più impegnato ad accogliere ideologicamente l’altro che a difendere il proprio: la propria fede, la propria cultura, la propria tradizione.

Un altro aspetto particolarmente ambiguo del suo pontificato è stata la sua palese accettazione della manipolazione operata dal sistema mass-mediatico dominante sulle sue parole. Quando ha osato criticare alcuni capisaldi della retorica del potere – come le politiche anti-umane di Israele o l’atteggiamento ipocrita e bellicista dell’Occidente nel conflitto russo-ucraino – i media lo attaccavano con ferocia o relegavano le sue dichiarazioni a trafiletti irrilevanti. Al contrario, quando pronunciava anche solo mezza frase utile a rafforzare il racconto dominante, veniva amplificato con ogni mezzo e la massima enfasi. Per un orecchio attento, questa strumentalizzazione è risultata sfacciata, puerile, spesso grottesca e caricaturale. La Santa Sede non ha mai denunciato con chiarezza e forza questa abnorme manipolazione. Anzi, ha sguazzato in quella melma, ma così facendo ha tradito uno degli elementi più sacri del messaggio evangelico – la verità e la coerenza – finendo per affondarci.

Forse il punto più basso, e imperdonabile, è stato raggiunto quando, insieme al potere politico del tempo, si è reso protagonista di una delle più gravi e dolorose fratture del corpo sociale nella storia recente: l’appoggio totale alla narrazione dell’obbligo vaccinale. Sfruttando nel modo più vile la residua autorità morale della Chiesa, Bergoglio ha fatto leva sul senso di colpa e quindi sul peccato. Nulla di nuovo per la Chiesa, starà dicendo qualcuno. Vero. Ma la novità è consistita nell’abbraccio mortale tra una visione fintamente liberale, e progressista, e l’uso strumentale di un retaggio dogmatico tradizionalista per scopi puramente biopolitici.

In sintesi, Bergoglio è stato l’espressione coerente di una Chiesa allo sbando, fatta di templi vuoti e anime disorientate, che ha rinnegato le sue radici sacre nel tentativo di rincorrere il mondo, anziché tentare eroicamente di esserne faro in un’epoca sempre più crepuscolare. Una Chiesa che ha perso ogni autorevolezza spirituale per chi cerca sinceramente senso e verità, e che oggi raccoglie solo l’applauso sterile di chi rifiuta ogni idea di spirito. Un applauso che sa di derisione e compiacimento per una sorta di scacco matto al Re dei cieli, giocato con la complicità del suo stesso vicario in terra.

L’idea di un nuovo Papa, che pare eccitare molti in queste prime ore dalla morte di Bergoglio, personalmente mi inquieta. Perché, se è vero che il suo pontificato è stato segnato da molteplici errori e veri e propri vizi sostanziali, la responsabilità – come per ogni dialettica del potere – non ricade solo sul vertice. Va analizzata e condivisa anche con chi quel potere lo ha legittimato con il proprio consenso o il proprio silenzio. Non esiste potere che operi senza riflettersi nella società; così come non esiste potere che non sia, almeno in parte, espressione dell’intero corpo sociale.

Da ciò, per pura meccanica sociale, osservando lo stato della coscienza collettiva, il futuro Pontefice potrebbe persino far rimpiangere il precedente o trovarsi con un magistero sostanzialmente impedito.

L’unica cosa buona che mi porto a casa da tutta questa desolazione, da questi terribili anni, è che mai come oggi chi cammina veramente lungo la via della verità e della libertà ha compreso che la casa di Dio è nei propri cuori. E che nessuno, più della propria sacra coscienza, può condurre fin lì.


Pierluigi Dadrin Peruffo

Di the milaner

foglio informativo indipendente del giornale

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