Avevamo passato tutta la settimana a sistemare le auto per il viaggio che ci doveva condurre a Tunisi a prendere il traghetto per Palermo e Napoli. Era il 15 luglio e faceva molto caldo. Avevamo deciso di rientrare in Italia via terra in modo da avere un mezzo di locomozione per passare le vacanze. Filippo sarebbe sceso a Palermo ed io avrei continuato fino a Napoli. Ci accompagnavano in questo viaggio un collega italiano dell’Epau e la sua famiglia. Era sempre più prudente fare il tragitto in più auto perché erano più di 1000 km e poteva succedere di tutto. Contavamo di metterci un paio di giorni, forse tre, quindi partivamo con un po’ di anticipo in modo  tale da non arrivare al porto proprio all’ultimo momento. Conoscendo le dogane algerotunisine sapevamo, anzi sapevo, perché per Filippo era una nuova esperienza quella di terra in quanto lui aveva avuto il piacere di “frequentare” solo la dogana di Dar el Beida…..(una calda accoglienza), che potevamo perdere parecchio tempo. Quindi la nave salpava il 20 luglio e noi contavamo di partire il 16 al mattino. (Vedremo in seguito quanto questa prudente scelta abbia pagato).

E così, alle 7 del mattino, di un martedì ( mio padre diceva sempre che di venere e di marte non si sposa e non si parte, e quanto c’aveva ragione) la piccola carovana composta dalla mia Land Rover, dalla R4 di Filippo e dalla Jeep Commando di Francesco e famiglia, iniziò la tradotta verso Tunisi imboccando la fatidica Moutonnière. Il traffico era sempre quello di tutti i giorni che noi conoscevamo bene ma forse vuoi perché stavamo partendo per le vacanze, vuoi perché in compagnia si fa meno caso a ciò che non è come vorresti che fosse…il morale era alle stelle. Inoltre Francesco che viaggiava con la moglie e la suocera aveva passato i giorni prima della partenza a preparare manicaretti siciliani che avremmo gustato lungo il percorso quando ci fossimo fermati per una sosta ristoratrice. All’uscita da El harrach ci lasciammo l’Epau alle spalle e passando vicino all’aeroporto ci dirigemmo verso Khemis el Khechna sulla statale A1.

Svariati posti di blocco dell’Esercito del Popolo, costellavano la strada, segno che c’era nell’aria qualcosa di strano. In quel periodo erano iniziati degli scontri tra le prime frange dei fratelli mussulmani e i Darak al Watani appunto, e quindi erano aumentati i controlli. Ma le nostre auto con targa blu 99 della cooperazione  venivano lasciate in pace. Il viaggio proseguì senza problemi e verso le tre del pomeriggio arrivammo a Setif. L’avvicinamento ad una grande città soprattutto se non la conosci può essere problematico e se ti ci devi fermare per la notte a maggior ragione . Francesco avendo con sè due signore logicamente optò per andare in un albergo e così ci dirigemmo verso il centro città e approdammo all’ Hotel Zidane. Filippo ed io mettemmo le auto all’interno dell’area del parcheggio privato dell’albergo che era custodito da dei guardiani notte e giorno ma decidemmo di dormire in auto per motivi economici… Comunque cenammo con i nostri amici e approfittammo della loro ospitalità nelle camere per lavarci. Ruspanti sì ma fino ad un certo punto!

L’indomani di buon ora lasciammo Setif e ci dirigemmo verso Annaba sulla costa. Il nostro obiettivo era quello di arrivare vicino alla frontiera in serata per poi avere  tutto il giorno dopo a disposizione per attraversare le due dogane, punto critico del percorso, ed arrivare a Tunisi il giorno 19, cioè un giorno prima della partenza della nave. Questo era il programma…ma si sa le ciambelle non riescono sempre col buco! Un tramonto bellissimo ci aspettava mentre scendevamo lungo i tornanti  che dall’altopiano di Costantina posta a circa 700 mt di altitudine, conducevano verso il mare. Il caldo torrido dell’interno dell’Algeria si era fatto sentire durante la giornata e il pensiero di arrivare lungo il mare mi faceva accellerare l’andatura. Ci fermammo a qualche km da Annaba per fare il punto della situazione. Francesco e famiglia sarebbero andati a dormire al Mimosa Palace mentre io e Filippo ci saremmo andati a cercare una spiaggia dove rinfrescarci con un bel bagno e avremmo verosimilmente dormito vicino al mare. Appuntamento alle 9 al loro hotel dove avremmo fatto colazione insieme e avremmo rimesso le ruote sulla strada in direzione Tunisi.

Erano circa le 7 di sera e seguendo la strada che costeggiava lateralmente la città dopo circa mezz’ora arrivammo su un lungomare. La strada era tagliata a mezza costa piuttosto in alto, quasi una corniche. Percorremmo un paio di km prima di trovare alla  nostra destra un viottolo sgarrupato che scendeva verso la spiaggia. Qualche centinaio di metri  ancora e raggiungemmo il mare. Fermai l’auto e anche Filippo che seguiva arrivò e parcheggiò a fianco. ” Penso che abbiamo trovato il posto giusto amico mio. Adesso mi butto a fare una nuotata per levarmi tutta la polvere da dosso.” Ciò detto, in men che non si dica, ci lanciammo nell’acqua assaporando la frescura che avevamo sognato per tutta la giornata. Mentre nuotavo allontanandomi dalla riva guardavo verso la costa. Non si vedevano  molte luci, segno che la zona non doveva essere molto abitata. Tuttavia notai che proprio a ridosso della spiaggia, in alto sulla collina si intravedevano dei punti luminosi fiochi quasi come se fossero delle candele o i lumini di un cimitero. Poi pensai che i mussulmani non hanno lo stesso tipo di approccio di noi cristiani per i morti, le loro tombe sono spesso solo dei cumuli di pietre che ricoprono il corpo del defunto arrotolato dentro un lenzuolo bianco, no scritte, no luci, no foto, niente di niente. Anzi il lenzuolo sta a testimoniare il fatto che non avendo tasche, non puoi portarti nulla nell’aldilà!  Uarqat  la indahou thaska! Così dicono i sacri testi! Quando arrivai a terra Filippo seduto sul cofano dell’auto stava sgranocchiando un pezzo di pollo arrosto che avevamo comprato lungo la strada in una specie di “rosticceria”.  A questo proposito vale  la pena di raccontare questo episodio. Mentre eravamo alla ricerca della tanto desiderata spiaggia, improvvisamente Filippo che mi seguiva, aveva segnalato con i fari  e avevo accostato. “Miinchia, è da stamattina che non mettiamo nulla sotto i denti, fame ho. Cerchiamo di trrovare un  posto dove possiamo prendere qualcosa!” ” Ok , vedo delle luci là in fondo forse c’è un ristorante, siamo sul mare!” In effetti dopo un centinaio di metri, arrivammo in uno spiazzo dove  un vecchissimo camioncino Citroen, sderenato, con un tendalino aperto sul lato e due tavolini piazzati sotto, veniva illuminato da due lampade a gaz. La scritta su una locandina appoggiata ad una ruota diceva” Les poulets  annabis” ovvero i polli di Annaba. Scendemmo e ci avvicinammo. Il proprietario, un uomo sui 70 anni con una djellaba che una volta probabilmente doveva essere stata bianca, una kefia che gli copriva in parte il capo, due baffi ricadenti alla Gengis Khan, aprì la bocca e ” Salam aleikoum ya saiddi” potemmo quindi constatare che nella sua bocca c’erano ben quattro incisivi d’oro, e poi il vuoto. Quindi un sorriso smagliante. 

“Aleikoum es salam monsieur” gli feci eco. ” Potremmo mangiare qualcosa?” “Certamente, ho del pollo arrosto come non l’avete mai mangiato!” “Perfetto ne prendiamo due, uno per ciascuno e…avete anche un paio di coca cola? ” A quel punto, il vecchio, sparì all’interno del camioncino e ne riemerse portandoci due simil coca cola made in algeria ben fredde.” Dovrete attendere una mezz’ora e i polli saranno serviti” disse. Filippo ed io ci guardammo negli occhi e” Miinchia, ci tocca ancora aspettare? Affamato sono, ma non ha nulla di prronto?” ” No monsieur, qui facciamo tutto al momento”. È così il pollaiolo tirò fuori dalla ghiacciaia due pollastri e si attivò per prepararli all’arrostimento su un fornello a gaz, che non era certo il massimo per la salute… Approfittammo del tempo di attesa per preparare l’interno delle auto per poterci passare la notte. Io avevo messo un materasso di gommaspugna nel cassone e avevo un sacco a pelo. Filippo aveva abbassato i sedili posteriori e aveva creato un pianale ove  stendersi, non era il massimo ma se lo faceva piacere. Bisogna considerare che quando uno è affamato non sta a guardare a certe sottigliezze tipo.. che  magari il pollastro era un po’ carbonizzato, che forse non era poi così tenero, che aveva una muscolatura da maratoneta che al confronto Abebe Bikila era una signorina, insomma ci facemmo piacere quei due tizzoni d’inferno che al secolo erano il famoso e tanto celebrato “pollo annabese” o qual dir si voglia, e partimmo alla ricerca della spiaggia.

Dopo la nuotata rinfrescante ci accingemmo a sistemarci per passare la notte. Le due auto erano parcheggiate l’ una dietro l’altra e apparentemente non c’era nessun altro in quel luogo. Una luna quasi piena rifletteva la sua faccia migliore sulla risacca che ritmicamente rompeva sulla battigia. Ogni tanto si udiva qualche pesce volante bucare la superficie dell’acqua e agitare le ali vorticosamente( esprimendosi in un salto che sicuramente gli aveva salvato la vita) diventando creatura dell’aria, per pochi istanti dopo  tuffarsi nuovamente nel suo elemento principale. Il silenzio regnava sovrano. In effetti eravamo  lontani da abitazioni  e Annaba riluceva in lontananza allungando le sue luci sulla superficie tranquilla del mare. In questo luogo magico lentamente scivolammo in un sonno profondo e tranquillo, con sogni popolati da maliarde sirene e ondine, pesci di tutte le dimensioni, ricci di mare, conchiglie di tutte le forme, tritoni…..etc.etc….Romantico no? Il nostro risveglio purtroppo non lo fu altrettanto!

Continua……

Di THEMILANER

foglio informativo indipendente dell'associazione MilanoMetropoli.org

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