Rsa Piemonte: 'Vaccinati ma soli gli anziani muoiono' - La Stampa
ANZIANI IN RSA

Stiamo discutendo in questi giorni del green pass, ma nessuno si è ancora posto il problema delle RSA, eppure lo scorso anno, all’inizio dell’epidemia furono proprio gli ospiti delle RSA le vittime designate del Covid e lo furono per scelte sbagliate da parte delle regioni e anche per malcelati silenzi da parte delle strutture.

Inizieremo da oggi la pubblicazione completa del rapporto di Amnesty International del 2020 su ciò che avvenne nelle RSA all’inizio e nel proseguo della pandemia. Seguiteci.

Ecco il titolo del rapporto di cui vi renderemo conto.

ABBANDONATI!

VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALLA VITA, ALLA SALUTE E ALLA NON DISCRIMINAZIONE
DELLE PERSONE ANZIANE NELLE STRUTTURE SOCIOSANITARIE
E SOCIOASSISTENZIALI DURANTE LA PANDEMIA IN ITALIA

“La nostra risposta al COVID-19 deve rispettare i diritti
e la dignità delle persone anziane”
Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres

L’impatto della pandemia sugli ospiti delle strutture residenziali sociosanitarie e socioassistenziali 
per persone anziane varia notevolmente tra le diverse aree del paese, in parte in conseguenza della
situazione epidemiologica generale relativa al COVID-19 nelle singole aree, in parte in base alla risposta
delle autorità di fronte all’emergenza a livello locale: in Italia le competenze inerenti all’assistenza
sanitaria e sociosanitaria sono demandate alle regioni, le quali dispongono di un notevole grado di
autonomia nell’interpretazione e nell’attuazione delle politiche del governo centrale. Per la realizzazione
del presente rapporto, Amnesty International ha concentrato l’attenzione su tre regioni: Lombardia,
Emilia-Romagna e Veneto.

Nel rispondere alla pandemia, il governo italiano e le autorità regionali non sono riusciti a intraprendere
misure tempestive per tutelare la vita e i diritti delle persone anziane presenti nelle strutture residenziali
sociosanitarie e, di fatto, hanno adottato politiche e consentito pratiche che hanno messo a rischio la
vita e la sicurezza sia degli ospiti che degli operatori sanitari. Tali decisioni e politiche hanno prodotto o
contributo a determinare violazioni dei diritti umani degli ospiti anziani residenti, in particolare del diritto
alla vita, alla salute e alla non discriminazione8. Hanno anche avuto un impatto sui diritti alla vita privata
e familiare degli ospiti delle strutture ed è possibile che, in certi casi, ne abbiano violato il diritto a non
essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.

L’Italia non è riuscita a reagire in modo tempestivo al dilagare di decessi correlati al COVID-19 nelle
strutture residenziali sociosanitarie e socioassistenziali per persone anziane. Misure di protezione
fondamentali (quali restrizioni alle visite, procedure di controllo delle infezioni, esecuzione di tamponi su
ospiti e personale di strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane) non sono state adottate
affatto oppure non lo sono state nella misura necessaria, se non quando il virus era già diffuso in
maniera incontrollabile. Mentre, per decisione del ministero della Salute, le visite ai pazienti ricoverati
in ospedale sono state vietate dal 22 febbraio a livello nazionale9, le restrizioni alle visite nelle strutture
residenziali sociosanitarie per persone anziane sono state lasciate alla discrezionalità delle autorità
regionali, che ne hanno permesso la prosecuzione in qualche forma fino a metà marzo. Durante questo
periodo il virus si è diffuso all’interno di queste strutture che, nonostante fossero abitate dalle persone
più vulnerabili, erano impreparate ad affrontare la sfida, con un conseguente significativo picco di
decessi. Sebbene i dati siano molto lacunosi, laddove questi sono disponibili rivelano uno sconvolgente
aumento dei decessi nelle strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane verificatosi nel mese
di marzo, con un aumento del 270% a Milano (capoluogo della Regione Lombardia10) e del 702% a
Bergamo11.

“Noi nelle Rsa siamo stati abbandonati; siamo stati messi in situazioni ad alto rischio per le quali non avevamo le capacità e non abbiamo ricevuto alcuna guida, nessun supporto”. Direttore di una Rsa, Milano

Nello stesso periodo in cui ai visitatori si continuava a consentire l’accesso alle strutture residenziali
sociosanitarie per persone anziane (e alcune delle più grandi accoglievano centinaia di visitatori al
giorno), nelle stesse strutture arrivavano anche pazienti infetti dimessi dagli ospedali. Alcuni non erano
stati affatto sottoposti al tampone, ma per altri era stata accertata in ospedale la positività al COVID-19
e si era proceduto all’invio presso le strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane senza
verificarne la capacità di assistere queste persone in sicurezza.

L’8 marzo, al culmine del contagio, la Regione Lombardia ha assunto la decisione di dimettere i pazienti
ospedalieri inviandoli verso strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane, compresi pazienti
positivi al COVID-19, nell’intento di liberare posti letto ospedalieri12.
La direttrice di una Rsa di Bergamo (Lombardia) ha raccontato ad Amnesty International cos’è
successo:

“Il 29 [febbraio], alle 10 del mattino, arriva un nuovo paziente dall’ospedale. Alle 17 l’ospedale ci invia via fax l’esito del
tampone nasofaringeo (COVID-19) a cui è stato sottoposto in ospedale: è positivo. È il nostro primo caso ufficiale. Mettiamo in
atto procedure ordinarie per il caso di epidemia, senza ricevere alcuna indicazione, pur avendo informato della situazione l’Ats
(l’azienda sanitaria locale). Nella prima settimana di marzo, i casi di febbre iniziano a moltiplicarsi nella Rsa, a dimostrazione
del fatto che il COVID-19 circolava già da un po’ all’interno. Dalle autorità regionali riceviamo soltanto a fine marzo le prime
informazioni che spiegano come operare per evitare la propagazione del virus”.
Un operatore sanitario di Milano (Lombardia) ribadisce:
“Qui il virus è scoppiato il 13 marzo, dopo l’arrivo di pazienti dal pronto soccorso. Il 13 marzo abbiamo ricevuto 17 pazienti.
Ci hanno detto e ripetuto che non erano pazienti COVID, ma come potevano saperlo se non erano mai stati sottoposti al test?
A due giorni dai nuovi arrivi, si sono ammalati il medico, il caposala e due altri operatori di assistenza del mio reparto…
Continuavano a dirci che non erano pazienti COVID e che avevamo introdotto noi il virus dall’esterno. Il personale non era stato informato della possibile positività di questi pazienti dimessi dagli ospedali. Inoltre, molti infermieri venivano costantemente spostati nei vari reparti della Rsa e non era possibile tenere sotto controllo nulla”.
Lo stesso problema si è replicato in Emilia-Romagna il 20 marzo, quando le autorità regionali hanno
indicato alle autorità sanitarie locali e alle strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane di
“provvedere a organizzarsi adeguatamente per affrontare dimissioni ospedaliere di persone colpite da coronavirus”. La direttiva regionale prescrive la presenza di procedure per l’“isolamento precauzionale, per evitare eventuali
rischi di contagio”, senza però fornire indicazioni specifiche in relazione alle misure da adottare a
livello operativo in quelle strutture che, ad esempio, non erano materialmente in grado di garantire
l’isolamento.
I dirigenti delle strutture residenziali sociosanitarie e socioassistenziali per persone anziane hanno
riferito di essersi sentiti sotto pressione nell’accettare i pazienti dimessi dall’ospedale; in alcuni casi
perché era l’unico modo per garantire un’entrata economica a fronte di posti letto altrimenti vuoti; in
altri casi per timore di compromettere le relazioni con le autorità regionali, che costituiscono una fonte
essenziale di finanziamento per i presidi residenziali sociosanitari
La carenza di dispositivi di protezione individuale (Dpi) nelle strutture residenziali sociosanitarie per
persone anziane era estremamente grave: il 77% delle strutture intervistate dall’Istituto superiore di
sanità15 ha individuato nell’assenza di Dpi una delle sfide principali; la maggior parte delle strutture
non ha potuto accedere ai tamponi fin dopo il periodo della massima diffusione del virus. Le strutture,
tranne alcune eccezioni, non disponevano di sistemi e/o infrastrutture necessari per isolare in
modo efficace gli ospiti contagiati o potenzialmente infetti e facevano fronte a una grave carenza di
personale, poiché sempre più operatori sanitari si stavano ammalando. Per le strutture residenziali
sociosanitarie per persone anziane, le carenze di personale hanno ulteriormente indebolito la capacità
di intraprendere le misure assolutamente necessarie per prevenire e tenere sotto controllo l’infezione e
per prendersi cura in modo adeguato di un crescente numero di ospiti ammalati.
L’assenza di tamponi e la carenza di Dpi sono stati individuati come le principali sfide affrontate
praticamente da tutto il personale operativo e dirigenziale delle strutture residenziali sociosanitarie per
persone anziane che Amnesty International ha intervistato e da molti che si sono esposti sui mezzi di
informazione e sui social media. Il responsabile di una struttura residenziale sociosanitaria per persone
anziane si è espresso così: “Combattevamo il fuoco senza estintori e con le mani legate dietro la schiena”.
La direttrice sanitaria di una Rsa a Milano ribadisce: “Ho iniziato immediatamente a perseguitare [le autorità
sanitarie locali] per ottenere i tamponi per tutti, anche per gli asintomatici. Il 10 aprile abbiamo ricevuto i primi tamponi per
il personale, dopo aver inviato richieste a non finire. Chiedevamo tamponi per ogni caso di febbre ma (le autorità sanitarie
locali) non rispondevano mai. Il direttore generale ha ottenuto cinque tamponi intorno a Pasqua”.
Al culmine della pandemia, verso fine febbraio e per tutto il mese di marzo, le strutture residenziali
sociosanitarie per persone anziane hanno avuto scarso accesso ai Dpi e le indicazioni che ricevevano
dalle autorità sanitarie erano poche, tardive e contraddittorie, secondo le testimonianze raccolte da
Amnesty International tra il personale e i responsabili delle strutture. Il 17 marzo, il parere emesso dal
ministero della Salute indicava che le mascherine FFp2/FFp3 erano necessarie solo per il personale
impegnato in procedure che generassero aerosol con pazienti affetti da COVID-19. La raccomandazione
è stata modificata soltanto il 29 marzo, con l’indicazione agli operatori sanitari di servirsi delle
mascherine FFp2/FFp3 in presenza di pazienti positivi al COVID-19. Oltre ad arrivare in ritardo, sembra
che (secondo le testimonianze di operatori sanitari) tale raccomandazione sia stata ampiamente
ignorata, specialmente a causa della scaRsa disponibilità di mascherine di questo tipo.
I dirigenti delle strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane hanno riferito ad Amnesty
International di non aver potuto ottenere per varie settimane alcun Dpi dalle autorità sanitarie locali
e che quel po’ di forniture che eventualmente riuscivano ad acquistare autonomamente sul mercato
veniva requisito dalle autorità doganali e reindirizzato agli ospedali. Il personale di varie strutture ha
raccontato ad Amnesty International di aver ricevuto Dpi solo nella prima metà di aprile, ormai dopo la
morte di migliaia di ospiti a causa del COVID-19.
Analogamente alla questione dei tamponi, la carenza di Dpi è risultata una sfida che ha riguardato
ampiamente tutta l’Europa e non solo, sia per gli ospedali sia per le strutture residenziali sociosanitarie
per persone anziane. Le autorità italiane hanno chiaramente dato la priorità agli ospedali rispetto
ai presidi residenziali sociosanitari per persone anziane. In assenza di tutti i dettagli rilevanti,
non è possibile accertare in che misura le autorità italiane avrebbero potuto garantire maggiori
approvvigionamenti, ma le informazioni disponibili indicano che si sarebbe potuto e dovuto profondere
un impegno maggiore sia per assicurare una maggiore quantità di forniture che per gestire meglio
l’allocazione di quelle disponibili nel paese, in modo da garantire scorte per le strutture residenziali
sociosanitarie per persone anziane al culmine della pandemia, essendo chiaro che i loro residenti
fossero il segmento più a rischio di contagio e mortalità. Ciò che sembra certo è che il settore
delle strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane, le autorità sanitarie competenti
presumibilmente preposte a sostenere e vigilare le attività delle strutture stesse, nonché le autorità
regionali e locali, siano stati tutti colti miseramente impreparati, sprovvisti di un piano efficace
predefinito per affrontare una pandemia.
Sono emerse denunce diffuse secondo cui non è stato garantito un accesso paritario alle cure
ospedaliere agli ospiti delle strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane, di cui si sospettava
il contagio da COVID-19. In Lombardia, le autorità regionali hanno adottato una direttiva specifica che
indicava come opportuno, per i residenti delle strutture sociosanitarie di età superiore ai 75 anni con
COVID-19 o con sintomi a esso riconducibili – in presenza di precedente fragilità o più comorbilità –, di
continuare a prestare loro le cure presso le strutture stesse, limitandone di fatto l’accesso all’ospedale16.
È difficile stabilire in che misura gli ospiti di strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane
che avrebbero potuto beneficiare di cure ospedaliere si siano visti negare l’accesso all’ospedale in
conseguenza di questa direttiva, considerato che in quel momento gli ospedali della regione erano
estremamente oberati e talvolta non erano in grado di fornire le cure necessarie a tutti coloro che ne
avevano bisogno. Tuttavia, dalle testimonianze raccolte da Amnesty International tra il personale e i
parenti di ospiti di strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane emerge che la direttiva si sia
tradotta talvolta in un rifiuto generalizzato nei confronti di ospiti ultrasettantacinquenni di Rsa, invece di
essere una decisione basata su valutazioni cliniche individuali dei bisogni di specifici pazienti.
Il presidente di Uneba (associazione che riunisce strutture residenziali sociosanitarie e socioassistenziali
per persone anziane) Lombardia sottolinea:
“La direttiva del 30 marzo rischia di ostacolare l’accesso agli ospedali per le persone anziane, che dovrebbe invece basarsi su
una valutazione clinica specifica per ogni soggetto, poiché il diritto alla salute va al di là dell’età anagrafica”.
Durante l’estate i valori del contagio del COVID-19 sono decisamente calati, ma l’impatto brutale ha
continuato a sentirsi. Con la ripresa delle visite esterne in forme diverse, si è rivelato con maggiore
evidenza l’impressionante effetto della pandemia sulla salute e sul benessere delle persone anziane
sopravvissute nelle strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane. Per alcune persone
anziane, le conseguenze sono tragiche: indebolimento delle funzioni motorie e cognitive, perdita
dell’appetito, depressione e una generale perdita della voglia e del desiderio di vivere, con un impatto
particolarmente significativo per i soggetti affetti da demenze o Alzheimer
Mentre l’Italia si ritrova ancora una volta di fronte a un livello elevato di contagi, le visite nelle strutture
residenziali sociosanitarie per persone anziane sono state nuovamente drasticamente ridotte o sospese
del tutto. È assolutamente indispensabile che non si risparmino gli sforzi per permettere ai residenti
anziani delle strutture sociosanitarie di ricevere visite appropriate da parte dei loro cari e di interagire
con il mondo esterno. A tal fine, sarebbe molto utile un sostanziale incremento dell’esecuzione di
tamponi sia sugli ospiti delle strutture residenziali, che sui visitatori; ciò consentirebbe di attenuare
restrizioni sproporzionate imposte alla libertà di movimento e di riunione degli ospiti delle strutture
residenziali sociosanitarie per persone anziane, senza trascurare i requisiti di distanziamento sociale e
altre forme di controllo dell’infezione.
L’insieme delle sfide strutturali radicate sofferte dal settore delle strutture residenziali sociosanitarie per
persone anziane (la frattura tra assistenza sanitaria e sociosanitaria, le carenze croniche di organico e
un numero crescente di problematiche derivanti dalla privatizzazione e dai tagli ai finanziamenti negli
ultimi anni, insieme alla molteplicità di sistemi nel meccanismo di vigilanza generale poco chiaro per
garantire la coerenza e l’implementazione degli standard) esulano dallo scopo di questo rapporto,
ma hanno contribuito tutte ad amplificare l’impatto della pandemia da COVID-19 sui diritti umani dei
residenti delle strutture sociosanitarie e socioassistenziali per persone anziane.
Inoltre, l’assenza di un sistema che definisca con chiarezza quali autorità abbiano il compito in ultima
istanza di vigilare sulla situazione nelle strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane, nonché
di garantire che siano protetti e sostenuti i diritti delle persone anziane che vi si trovano, ostacola
l’identificazione delle responsabilità e il perseguimento di azioni correttive quando le cose vanno male
su così ampia scala, come è indubbiamente accaduto in questo frangente. Le indagini giudiziarie
avviate in numerosi casi sono importanti; è però improbabile che risolvano le distorsioni e gli schemi
di abusi che hanno caratterizzato la risposta alla pandemia nel settore delle strutture residenziali
sociosanitarie per persone anziane.
A tal fine, dovrebbe essere condotta un’inchiesta pubblica completamente indipendente e fondata
su un approccio di diritti umani, che riconosca gli obblighi nazionali e internazionali dell’Italia nella
promozione dei diritti umani di tutti/e, per esaminare la preparazione generale alla pandemia e la
risposta nelle strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane. L’inchiesta pertanto dovrebbe:
• identificare i limiti e le carenze strutturali a livello locale, regionale e nazionale e nell’intersezione tra
i tre sistemi;
• raccomandare misure concrete per affrontare e superare tali carenze;
• potenziare i meccanismi di vigilanza e rafforzare le misure di accertamento delle responsabilità
l contempo, le autorità competenti devono lavorare in sinergia con il settore delle strutture residenziali
sociosanitarie per persone anziane e con la società civile per fare in modo che le problematiche
identificate in questo rapporto vengano risolte. In particolare, le autorità dovrebbero:
• rispettare e realizzare il diritto dei residenti anziani nelle strutture sociosanitarie e socioassistenziali
a ottenere il più elevato standard di cura raggiungibile, anche garantendo un accesso prioritario ai
tamponi e ai Dpi per gli ospiti, per il personale e per i visitatori di tali strutture, nonché un accesso
pieno e paritario alle cure ospedaliere per i residenti anziani;
• assicurare che le linee guida per le visite nelle strutture residenziali sociosanitarie per persone
anziane siano orientate al miglior interesse degli ospiti;
• garantire un’adeguata rappresentanza e coinvolgimento delle persone anziane, degli ospiti delle
strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane e del settore delle strutture residenziali
assistenziali e sociosanitarie per persone anziane nei processi di pianificazione e decisionali
correlati a questioni che incidono sui residenti delle strutture stesse, a tutti i livelli;
• garantire la fornitura adeguata e continuativa di Dpi per le strutture residenziali sociosanitarie per
persone anziane, per permettere loro di conformarsi alle linee guida nazionali e garantire che tutto
il personale sia formato sul loro scopo e sull’utilizzo corretto;
• stabilire un meccanismo adeguato per valutare e sviluppare le capacità delle strutture residenziali
sociosanitarie per persone anziane di garantire un livello appropriato di prevenzione e controllo
delle infezioni, anche in relazione alle loro capacità di isolare in modo efficace ospiti nuovi o
riammessi e limitando il più possibile gli spostamenti di personale tra varie strutture, oltre a fornire
cure adeguate agli ospiti affetti da COVID-19 e agli altri ospiti;
• prevedere il potenziamento delle strutture residenziali sociosanitarie per persone anziane perché
queste possano formulare direttive sulle visite improntate al rispetto e alla realizzazione dei diritti
umani degli ospiti, che diano voce e rappresentanza a questi ultimi, ai familiari e/o tutori legali,
garantendo al tempo stesso la sicurezza per le strutture stesse e per gli ospiti che vi risiedono;
• garantire piena trasparenza nella raccolta e nella pubblicazione di tutti i dati rilevanti in materia
di decessi di

SEGUE…..


Di the milaner

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