Secondo quanto pubblicato dal canale ucraino Strana, il piano dell’amministrazione Trump per porre fine al conflitto avrebbe una precisa scaletta temporale e programmatica. Il piano di pace, diffuso da Strana (e sul quale non c’è al momento alcuna conferma ufficiale, ovviamente) sarebbe stato elaborato a Washington, presentato ad alcuni diplomatici europei, e poi da questi girato a Kiev.
Per il momento, quindi, potrebbe trattarsi semplicemente di una indiscrezione lasciata filtrare per sondare il terreno o, viceversa, per bruciarla sul nascere. Il fatto che sia stata diffusa dagli ucraini, che difficilmente ne digerirebbero i termini, potrebbe far pensare a questa seconda ipotesi.

La messa in atto del piano dovrebbe partire con una conversazione telefonica tra Putin e Trump a fine gennaio / inizio febbraio, e concludersi (ipoteticamente) ad agosto, con le elezioni presidenziali in Ucraina. Ma, al di là della previsione in ordine ai tempi – troppo rigida per reggere al confronto con la realtà, in ogni caso – è più interessante guardare appunto ai termini che Washington delinea come base per il negoziato.
Innanzi tutto, si certificherebbe il non ingresso dell’Ucraina nella NATO, anche attraverso una dichiarazione di neutralità da parte di Kiev, che verrebbe ulteriormente sancita da una decisione dell’Alleanza Atlantica stessa. Questo primo punto sembrerebbe una significativa concessione alle richieste russe, se non fosse che è sempre stato chiaro che l’ingresso formale dell’Ucraina nella NATO non è mai stato realmente all’ordine del giorno.

A compensazione (per Kiev), ci sarebbe un impegno ad accogliere il paese (quel che ne rimane) nell’Unione Europea entro il 2030 (un orizzonte abbastanza vicino), ed un impegno di quest’ultima a sostenere i costi della ricostruzione. E qui, ovviamente, siamo di nuovo al leitmotiv che l’America fa i danni e l’Europa dovrebbe pagarne il costo…
Terzo punto, l’Ucraina rinuncerà a fare sforzi militari e diplomatici per reclamare i territori occupati, ma senza riconoscere formalmente la sovranità russa su di essi. Questo è un punto abbastanza vago ed ambiguo, perché un eventuale impegno di Kiev in tal senso – in mancanza appunto di una accettazione formale – potrà essere rinnegato domani, e portare alla riapertura del conflitto. D’altro canto, Mosca è sicuramente consapevole che si tratta di una questione delicata, non solo per Kiev ma per tutti i paesi europei, che vedono la possibilità di mettere in discussione i confini come una minaccia potenziale. Ovviamente rimuovendo però il piccolo particolare che è ciò che hanno fatto in Jugoslavia prima, e soprattutto con la secessione del Kosovo poi.

Si prevederebbe una progressiva revoca delle sanzioni, lungo un arco di tre anni, a partire da quelle sull’importazione di energia in Europa (contentino all’UE), ma con una tassa per finanziare la ricostruzione.
Il meccanismo prevederebbe infine il pieno rispetto della minoranza linguistica russa in Ucraina, con completa libertà politica e religiosa.
La questione, più volte ipotizzata, del dispiegamento di un contingente europeo di peacekeeping viene tenuta fuori, ed eventualmente rinviata ad una trattativa separata.
Come si vede, sin qui siamo in un ambito abbastanza accettabile per Mosca, quantomeno come base di partenza, su cui poi lavorare per una definizione più soddisfacente. Ma, al tempo stesso, non c’è alcuna vera concessione da parte occidentale; tolte di mezzo questioni marginali e/o implicite, per il resto si tratta sostanzialmente di una presa d’atto di ciò che già è in essere. Non va dimenticato che è l’occidente a chiedere che si arrivi ad una chiusura del conflitto, ed è quindi da parte sua che dovrebbe venire la maggiore disponibilità (oltre ovviamente al fatto che la situazione sul campo di battaglia volge decisamente in favore di Mosca).

Già su questa prima parte (e lasciando per il momento da parte il punto più ostico) c’è un nodo che il piano non menziona – forse anche giustamente – ma che non è di secondaria importanza. È infatti evidente che l’idea della NATO è il congelamento del conflitto, sotto il profilo territoriale. Ovvero la linea di demarcazione tra la nuova Ucraina e la nuova Russia dovrebbe coincidere con la linea del fronte al momento della tregua. Benché la questione territoriale non sia primaria per la Russia, resta il fatto che ci sono quattro oblast che hanno deciso di aderire alla Federazione Russa, e che pertanto per Mosca sono integralmente territorio russo; congelare il confine sulla linea di combattimento comporterebbe che una parte di territorio russo resterebbe occupata dalle forze ucraine. Potrebbe sembrare una questione di lana caprina, e comunque in un quadro di reciprocità, ma non è detto che risulti accettabile per la Russia.

Il vero punto cruciale, però, sul quale si impunterà l’eventuale negoziato, è quello che esclude qualsiasi riduzione delle dimensioni delle forze armate ucraine, e prevede invece che gli Stati Uniti continueranno a sostenerne la modernizzazione. Si tratta di una questione – a mio avviso – del tutto inaccettabile per Mosca, non solo perché ha sempre ribadito che la smilitarizzazione dell’Ucraina è uno degli obiettivi centrali, ma perché renderebbe pletorica la dichiarazione di neutralità. Oltretutto, il ribadito impegno statunitense ad armare e modernizzare l’esercito di Kiev equivale chiaramente ad una integrazione di fatto nella NATO, rispetto alla quale la non adesione formale diventa del tutto secondaria.
Siamo qui in presenza di uno scoglio grande quanto una montagna. Ed è ovviamente questo il nocciolo del piano americano, sul quale però rischia di naufragare precocemente l’ipotesi di negoziato. Posto che questa condizione è chiaramente inaccettabile per la Russia, resta da capire se e quanto sia invece trattabile per gli Stati Uniti. Il che poi si traduce nella domanda quanto Washington è davvero interessata a por fine al conflitto (o comunque a tirarsene fuori).
Si noterà, a margine, come l’Ucraina sia considerata oggetto e non soggetto del negoziato. Il che con ogni probabilità vale per Zelenski, ma non è detto sia valido per i nazionalisti ucraini.

Enrico Tomaselli

Fonte

Di the milaner

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