Plinio il Vecchio (23-79 d.c.) scrisse: “Chi vorrà considerare con attenzione la quantità delle acque di uso pubblico per le terme, le piscine, le fontane, le case, i giardini suburbani, le ville; la distanza da cui l’acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso”.
Gli acquedotti romani furono costruzioni molto sofisticate, il cui livello qualitativo e tecnologico non ebbe uguali per oltre mille anni dopo la caduta dell’Impero Romano.
Essi erano costruiti con tolleranze minime: ad esempio la parte di acquedotto a Ponte del Gard in Provenza ha un gradiente di soli 34 cm per km (1:3000) scendendo di soli 17 m nella sua intera lunghezza di 50 km.
L’estremità superiore ha un canale in cui scorre l’acqua in una sezione “a U”. Gli archi del livello inferiore hanno pilastri che aumentano gradualmente di spessore (dall’alto verso il basso) man mano che aumenta l’altezza del terreno, dovendo rimanere fissa la quota del canale superiore.
La spinta dell’acqua è interamente garantita dalla gravità, trasportando un grande quantitativo d’acqua in modo molto efficiente (il citato Ponte del Gard ne veicolava 20.000 m3 al giorno). Con depressioni maggiori di 50 m lungo il percorso, venivano utilizzati i sifoni inversi, condotte a gravità utilizzate per superare il dislivello, in uso anche ai giorni nostri, quando gli ingegneri idraulici utilizzano questa metodologia per gli impianti idrici e fognari.
I Romani costruirono acquedotti in ogni parte del loro impero, molti al difuori del suolo italico.
Fonte: Romano Impero