Secondo gli aggiornamenti di aprile del Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Russia nel 2024 crescerà più di tutte le economie avanzate del mondo, compresa quella statunitense. L’organismo finanziario internazionale prevede una crescita del 3,2%, superiore a quella di Stati Uniti (2,7%), Germania (0,2%), Francia (0,7%), Italia (0,7%) e Regno Unito (0,5%). Le stime economiche dell’FMI rappresentano un vero e proprio smacco per il blocco atlantico: hanno smontato, infatti, la propaganda dei capi di Stato e dei media occidentali, i quali dal 2022 hanno sostenuto che le sanzioni euro atlantiche imposte a Mosca avrebbero duramente colpito la sua economia, impedendogli di finanziare la guerra in Ucraina e facendola fallire. Era il 21 settembre 2022 quando l’ex presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, affermava all’Assemblea generale dell’ONU che «le sanzioni che abbiamo imposto a Mosca hanno avuto un effetto dirompente sulla macchina bellica russa, sulla sua economia. […] Il FMI internazionale prevede che l’economia russa si contragga quest’anno e il prossimo di circa il 10% in totale a fronte di una crescita intorno al 5% ipotizzata prima della guerra». Sempre nel 2022, in un’intervista al quotidiano tedesco Bild, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva detto che «il fallimento nazionale della Russia è solo questione di tempo» e che «le sanzioni ogni settimana entrano più a fondo nell’economia russa: le esportazioni verso la Russia sono crollate del 70% […]. Secondo le attuali previsioni, il prodotto interno lordo in Russia crollerà dell’11%». Sulla stessa linea, il presidente francese Macron, poco più di un anno fa, diceva che «l’economia russa soffre molto» e invitava a «non credere alla “propaganda” delle statistiche ufficiali pubblicate» da Mosca.

La classe dirigente occidentale sta avendo quindi un brusco risveglio, non solo perché le previsioni di fallimento dell’economia russa non si sono avverate, ma soprattutto in quanto ad essere maggiormente in difficoltà risultano proprio le economie avanzate, quelle del G7: il FMI, infatti, quest’anno ha abbassato le sue previsioni per l’Europa e in particolare per il Regno Unito. Londra risulta il secondo Paese con la performance più debole nel gruppo del G7, dietro a Berlino. L’istituto di Washington prevede un lento miglioramento nel 2025, quando tutte le economie del G7 dovrebbero registrare una crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL), sebbene inferiore del previsto: l’Italia aumenterà la produzione dello 0,7%, rimanendo quindi stabile rispetto al 2024 senza raggiungere l’1,1% preventivato e collocandosi ultima rispetto alle altre economie avanzate. La Germania dovrebbe crescere dell’1,3%, la Francia dell’1,4%, il Giappone dell’1%, il Regno Unito dell’1,5%, il Canada del 2,3% e gli Stati Uniti dell’1,9%. A livello complessivo, secondo l’istituto finanziario, “l’economia globale rimane straordinariamente resiliente, con una crescita costante e un rallentamento dell’inflazione quasi con la stessa rapidità con cui è aumentata”. L’FMI ipotizza che il PIL globale crescerà del 3,2% nel 2024 e 2025, lo stesso ritmo già registrato lo scorso anno, restando al di sotto della media annua storica (2000-19) del 3,8%, soprattutto a causa delle politiche monetarie restrittive e del ritiro delle misure di sostegno fiscale.

Per quanto riguarda la Russia, il Pil di Mosca aumenterà più del previsto anche l’anno prossimo, raggiungendo l’1,8%, pari a +0,7 punti percentuali rispetto a quanto pronosticato in precedenza. Il direttore del dipartimento del ministero dello Sviluppo economico russo, Lev Denisov, però, ha dichiarato che questa previsione «appare inutilmente pessimistica», segno del fatto che il ministero russo prevede, probabilmente, una crescita maggiore. Secondo Petya Koeva Brooks, vicedirettore del FMI, sono tre i fattori che hanno consentito un aumento della produzione in Russia: gli investimenti delle imprese statali e aziendali, la «robustezza dei consumi privati» e le forti esportazioni di petrolio, segno che il “price cap” occidentale non ha funzionato.

A febbraio la BBC aveva rivelato che, nonostante le sanzioni, milioni di barili di carburante ricavato dal petrolio russo venivano ancora importati nel Regno Unito, attraverso la scappatoia delle raffinerie: Paesi come India e Cina comprano il greggio dalla Russia, lo raffinano ed esportano i prodotti nel Regno Unito e altri Stati occidentali. Questo procedimento è in linea teorica legale, in quanto le regole internazionali stabiliscono che il greggio è classificato ai fini del commercio come proveniente dal paese di raffinazione. Tuttavia, ciò mina l’efficacia delle sanzioni, in quanto questo espediente «aumenta la domanda di greggio russo e consente vendite più elevate in termini di volume e di aumento del prezzo, il che aumenta i fondi inviati al forziere di guerra del Cremlino», ha affermato Isaac Levi, capo del Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (CREA). Le sanzioni del blocco euro-atlantico sono, dunque, state aggirate dalle stesse compagnie occidentali, a dimostrazione del fatto che hanno danneggiato e danneggiano l’economia europea almeno quanto quella russa se non di più. Cosa provata dagli indicatori economici e dai dati dell’FMI che hanno inequivocabilmente smontato le dichiarazioni e le previsioni dei capi e degli “strateghi” economici occidentali. Visti i risultati, occorre – forse – che le liberal-democrazie cambino al più presto strategia.

Giorgia Audiello

FONTE

Di the milaner

foglio informativo indipendente del giornale

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