Per il filosofo australiano, esperto di bioetica e pioniere del movimento del diritto degli animali, la pandemia Covid dimostra la necessità di rivedere le nostre relazioni con le altre specie 

ALICE SCIALOJA 25 Giugno 2020

Come da tradizione anglosassone. Il filosofo australiano Peter Singer (1946), professore di bioetica all’Università di Princeton, è pragmatico nell’approccio e nelle risposte, essenziale ma cortese. “Non conosco i dettagli della ricerca, quindi non posso dare un parere sulla sua utilità” risponde alla prima domanda di questa intervista, se i test sugli animali siano ancora utili, riferita al vaccino per il coronavirus di Oxford testato su scimmie e topi con risultati incoraggianti secondo la rivista BBC Science Focus.

Tra gli assiomi del suo pensiero c’è che siamo tutti responsabili di quello che facciamo, ma anche di quello che avremmo potuto impedire o che abbiamo deciso di non fare. Fondatore dell’organizzazione no profit The life you can save (perché ognuno di noi ha l’impegno morale di aiutare chi ha di meno), nominato “terzo pensatore più influente al mondo” nel 2013 dal think tank svizzero Gottlieb Duttweiler Institute, è considerato uno dei maggiori filosofi contemporanei nel campo dell’etica. Pioniere del movimento per i diritti degli animali, ha esteso le sue riflessioni a numerose questioni, in particolare dell’etica applicata: dal rispetto per l’ambiente alla squilibrata distribuzione della ricchezza e alla responsabilità dei paesi ricchi verso quelli poveri. Un interesse a largo spettro già iscritto nella sua riflessione: per Singer il movimento animalista affonda le sue radici nella stessa tradizione libertaria che ha prodotto le lotte sociali e culturali contro il razzismo o contro le discriminazioni di genere. Nel suo libro Liberazione animale (del 1975) superare lo specismo è indicato come la condizione per attuare questa liberazione, secondo una concezione dei diritti degli animali che valuta la moralità di ogni azione dai suoi effetti in termini di piacere o di sofferenza su chi la subisce; un criterio che deve applicarsi anche agli animali, che possono provare piacere e dolore e vanno dunque ricompresi entro la sfera dell’etica.

La genesi del Covid-19 è attribuita al salto di specie, tra le cui cause principali si annoverano le pratiche intensive di allevamento e agricoltura, la deforestazione e la perdita di habitat degli animali. Concorda sul fatto che questo rende ancora più urgente una revisione dell’etica della nostra convivenza con le altre specie?
“Assolutamente sì.  E come ho sostenuto in un articolo scritto in collaborazione con la studiosa e animalista italiana Paola Cavalieri intitolato “Le due parti oscure di Covid-19”, è urgente vietare e chiudere i mercati umidi, dove varie specie di animali vivi sono tenute insieme in gabbie affollate, per la vendita ai consumatori, e poi macellati sul posto al momento dell’acquisto. Mercati orribili per gli animali, che per di più presentano un alto rischio di diffusione di virus. Ci sono prove evidenti che il coronavirus provenisse dal mercato umido di Wuhan, dove si vendevano animali come i pangolini (ndr. che non possiedono sistema di difesa contro le infezioni virali pur tollerandole). Ma è anche giusto il riferimento all’agricoltura e all’allevamento intensivi e alla distruzione degli habitat della fauna selvatica. Pratiche entrambe intrinsecamente sbagliate. Gli allevamenti intensivi costringono decine di migliaia di animali in un unico capannone, procurando loro vite miserabili e costituendo allo stesso tempo il luogo perfetto per la creazione di nuovi virus. Anche la deforestazione e la distruzione degli habitat della fauna selvatica causano la sofferenza degli animali, oltre all’estinzione di alcune specie animali e vegetali; e riducendo gli spazi tra noi e la fauna selvatica, con cui ci ritroviamo a più stretto contatto, possono essere una via per la trasmissione di virus dagli animali all’uomo”.

Da molto tempo lei è impegnato a combattere le disuguaglianze e la povertà nel mondo, tramite i suoi scritti e le sue azioni, e spiega come questo sia un obbligo morale e come portarlo avanti in modo efficace. Ritiene che dobbiamo continuare a praticare questo obbligo nel quadro del capitalismo globale o dovremmo, piuttosto, provare a rompere il sistema attuale?
“Se lei, o qualcuno dei suoi lettori, può concepire un sistema economico che sia migliore del capitalismo, non solo in teoria ma anche in pratica, e può mostrarmi un modo plausibile di sostituire il capitalismo globale con quel sistema, allora sarò felice di sostenere un tale cambiamento. Ma siccome tutti i tentativi fatti nell’ultimo secolo per realizzare queste due cose sono falliti, penso che abbiamo l’obbligo di fare ciò che possiamo per trovare le maniere più efficaci di aiutare le persone, le famiglie, i villaggi e le regioni che sono in estrema povertà”.

La pandemia sta colpendo tutto il pianeta, ma sembra esacerbare le disuguaglianze. Il divario digitale è uno di questi, anche nei paesi sviluppati. Che cosa dobbiamo fare?

“Dobbiamo garantire a tutti l’accesso a internet in modo che chiunque possa usare la rete per ottenere informazioni e per educare i propri figli. Ma la questione più grande è la disuguaglianza tra paesi ricchi e paesi poveri. Per superare questa situazione c’è bisogno di più assistenza dei paesi ricchi ai paesi poveri, sia da parte dei governi che dei singoli individui. E, cosa ancora più importante, questa assistenza deve essere efficace. È il motivo per cui ho fondato The life you can save, un ente di beneficenza che si occupa di promuovere le associazioni di beneficenza più efficaci che assistono i poveri”.

A causa della pandemia, petrolio e gas, come molte altre industrie inquinanti sono in una posizione di debolezza. È, finalmente, un’opportunità per la lotta alla crisi climatica, al di là della disobbedienza civile, delle proteste dei ragazzi dei Fridays for future e dell’azione dei movimenti ambientalisti?
“Dovrebbe esserlo, certamente!  Ma lo sarà?  Non lo so.  La cosa più importante è votare a sfavore dei governi che non prendono sul serio il cambiamento climatico. Ora, la priorità deve essere quella di sconfiggere il presidente Donald Trump a novembre, perché se verrà rieletto è molto probabile che gli Stati Uniti non prenderanno le misure necessarie per evitare un cambiamento climatico catastrofico”.

Un’ultima domanda. Quando è uscita l’enciclica Laudato Si’, lei ha twittato: “È bello vedere Papa Francesco che parla a nome degli animali”. Vede questo Papa come un alleato nella sua lotta etica e filosofica contro la povertà e per i “diritti degli animali”?
“Sicuramente come un alleato nella lotta contro la povertà! Anche se dovrebbe esserlo ogni cristiano, e quindi ogni Papa, perché chiunque legga il racconto evangelico di Gesù sa che egli parla più di aiuto ai poveri che di qualsiasi altra questione. Si pensi a quello che dice in merito a quanto sia difficile per un ricco andare in paradiso!  È sorprendente che ci siano persone ricche che si considerano cristiane ma non danno la maggior parte delle loro ricchezze ai poveri o a organizzazioni efficaci di assistenza ai poveri. Non mi spingerei, però, così lontano nel dire che Papa Francesco è un alleato nella lotta per i diritti degli animali. Direi solo che sta facendo uno sforzo per allontanare la Chiesa dall’opinione espressa da Tommaso d’Aquino quando dice che non abbiamo doveri verso gli animali e che non è possibile peccare contro un animale. È spaventoso che per molti secoli questa sia stata la visione dominante nella Chiesa.  Un Papa vegano lo sto ancora aspettando oppure, se questo è troppo da sperare, un Papa che dichiari, ex cattedra, che sostenere gli allevamenti intensivi acquistando e consumando prodotti che ne provengono è un peccato grave. Un Papa del genere sarebbe davvero un alleato nella lotta per i diritti degli animali”.

Peter Singer e sua moglie Renata sono vegetariani dal 1971. Hanno cominciato a donare quarantacinque anni fa sia a organizzazioni che aiutano i poveri a vivere una vita migliore, sia ad altre che riducono la sofferenza animale, aumentando l’importo versato a mano a mano che cresceva il loro reddito. Donano attualmente circa un terzo di quanto guadagnano e si sono dati il 50% come prossimo obiettivo.

FONTE

Di THEMILANER

foglio informativo indipendente dell'associazione MilanoMetropoli.org

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