Risultati indagini per g5

L’11 dicembre il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) ha approvato una relazione in cui è stata messa nero su bianco la richiesta al governo di valutare l’ipotesi di escludere i colossi cinesi della tecnologia Zte e Huawei dall’attività di fornitura di tecnologia per le reti 5G.

Ma che cos’è il 5G e perché le aziende cinesi rappresenterebbero un rischio potenziale per la sicurezza nazionale? Andiamo a vedere i dettagli.

Che cos’è il 5G

La sigla 5G sta per “quinta generazione” e indica la tecnologia e gli standard delle telecomunicazioni successive al 4G (quarta generazione, quella oggi in uso dal 2009), che saranno a breve disponibili sul mercato anche in Italia.

Secondo le aspettative, dovrebbe consentire nel breve periodo il download e l’upload di dati molto più rapidi, e a un numero maggiore di utenti, una copertura più vasta del territorio e una connessione più stabile. Nel medio periodo dovrebbe avere poi un’influenza fortissima su tutti i settori: dall’industria alla domotica, dagli ospedali alla difesa.

Le tecnologie e gli standard 5G sono resi possibili da un maggior sfruttamento dello spettro delle frequenze radio, in modo da consentire a più apparecchi di accedere contemporaneamente e in modo più efficace a Internet.

Per garantire questi nuovi servizi, gli operatori dovranno appoggiarsi ad apposite infrastrutture. Il timore delle intelligence occidentali è che la Cina possa sfruttare queste infrastrutture ai fini di spionaggio. La Cina è infatti da tempo accusata da Paesi occidentali come Stati Uniti e Regno Unito di essere uno degli attori statali più attivi nel cyberspionaggio industriale, militare e non solo.

I timori del Copasir

Nella citata relazione del Copasir dell’11 dicembre, tra le altre cose, si affronta proprio la “questione cinese” nel 5G, e cioè l’«ampia questione collegata alla crescente presenza sul mercato internazionale di aziende aventi la propria sede principale in Paesi esterni all’Europa e al mondo occidentale (…) in particolare alcune aziende cinesi, fornitrici di servizi e apparecchiature nel mercato italiano ed europeo, di cui non è certa la piena autonomia rispetto alle autorità governative del proprio Paese».

Secondo l’organo parlamentare di controllo sui servizi segreti, le rassicurazioni in particolare di Huawei sulla propria indipendenza rispetto al governo cinese non sarebbero sufficienti, anche perché i responsabili delle agenzie di intelligence italiane – AisiAise e non solo – hanno dato una versione differente.

In particolare, scrive il Copasir, dai vertici dei servizi segreti «è stato posto in rilievo che in Cina gli organi dello Stato e le stesse strutture di intelligence possono fare pieno affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese, e ciò sulla base di specifiche disposizioni legislative». La National Security Law e la Cyber Security Law cinesi obbligherebbero infatti cittadini, aziende e operatori a fornire assistenza e supporto all’intelligence e all’apparato militare cinese per tutelare la sicurezza e gli interessi nazionali.

Sulla base di questi elementi, il Copasir ritiene «in gran parte fondate le preoccupazioni circa l’ingresso delle aziende cinesi nelle attività di installazione, configurazione e mantenimento delle infrastrutture delle reti 5G». Di qui la richiesta al governo di valutare se sia necessario escludere Huawei (formalmente controllata dai suoi stessi dipendenti, ma sulla cui reale indipendenza dal partito comunista cinese esistono forti dubbi) e Zte (che è anche formalmente controllata dal governo cinese) dalla fornitura di tecnologia per il 5G in Italia.

Abbiamo chiesto un commento, su questa relazione del Copasir, a un esperto di cybersecurity e cyberwarfare.

Il parere dell’esperto

Secondo Stefano Mele, presidente della Commissione sicurezza cibernetica del Comitato atlantico italiano, «il 5G rappresenterà nei prossimi anni quello che internet è stato negli anni ‘90».

«Tutto passerà sul 5G, l’Iot (Internet of things), domotica, trasporti, fabbriche, comunicazioni: è la tecnologia più strategica dei prossimi anni – prosegue Mele –, per questo chi domina questo mercato, insieme a quello dell’intelligenza artificiale, dominerà il mercato tecnologico nel complesso. Ad oggi la competizione è principalmente tra due attori: Cina e Stati Uniti».

Gli Stati Uniti accusano la Cina in particolare di spionaggio, militare e industriale, e di volere accesso al mercato americano senza garantire un reciproco accesso a quello cinese. Queste accuse vanno prese con cautela, considerando che gli Stati Uniti sono appunto concorrenti della Cina e potrebbero quindi avere un’agenda “protezionistica” del proprio mercato tecnologico, minacciato dai progressi cinesi in ambito di 5G.

Inoltre in passato è emerso – ad esempio negli scandali Prism e Datagate – che anche Washington ha fatto ricorso allo spionaggio di massa utilizzando le tecnologie delle telecomunicazioni. Ma, al netto di questo, delle preoccupazioni fondate sembra ci siano.

«In primo luogo la sicurezza dei prodotti Huawei è limitata, come certifica il Huawei cyber security evaluation centre [centro di cybersecurity, composto da ingegneri e tecnici indipendenti, che Huawei è stata obbligata dalla normativa britannica ad aprire per poter operare nel Paese n.d.r.] nel suo ultimo rapporto. Questo significa – spiega ancora Mele – che non solo il governo cinese, ma anche altri attori statali e non statali, come ad esempio organizzazioni criminali o singoli hacker, potrebbero violare la sicurezza dei dispositivi Huawei. Il fatto che la Cina si sia mossa per prima, e con grande anticipo, sul 5G rispetto ai principali attori occidentali le ha dato sì un vantaggio, ma sulla qualità dei prodotti cinesi è legittima qualche perplessità».

«Inoltre – conclude Mele – a mio parere rimane comunque una differenza sostanziale tra Cina e Stati Uniti: entrambi spiano, tutti spiano in realtà, ma se negli Usa ci sono delle regole che nella gran parte dei casi vengono rispettate – e quando non vengono rispettate è possibile che ci siano whistleblower, giornalisti che fanno inchieste, scandali, intervento dei giudici e via dicendo – in Cina no».

Chi ha già escluso le aziende cinesi e chi ci sta pensando?

Quasi tutti i Paesi occidentali sono alle prese con lo stesso problema che è stato sollevato dal Copasir e di cui si discute ora in Italia. Gli Stati Uniti, con il Defense Authorization Act dell’agosto 2018, hanno in gran parte escluso Huawei e Zte dalla fornitura di tecnologia per il 5G e più di recente, a fine novembre 2019, la Federal Communications Commission statunitense ha sostenuto che le società cinesi siano un rischio per la sicurezza nazionale.

Non solo. Gli Usa stanno anche esercitando una notevole pressione diplomatica sui propri alleati perché facciano lo stesso. Finora hanno seguito la linea dettata da Washington l’Australia, la Nuova Zelanda e il Giappone.

La maggior parte di Paesi europei, come Regno Unito, Germania, Francia e Italia, e altri Paesi occidentali come il Canada, stanno invece ancora valutando il da farsi. Se da un lato ci sono infatti la pressione dell’alleato americano e i citati timori per la sicurezza nazionale, dall’altro c’è il timore di perdere tempo e soldi non sfruttando i progressi già fatto dalla Cina in materia di 5G.

Ad esempio, secondo una stima elaborata da Gsma, gruppo che rappresenta la grande maggioranza degli operatori delle telecomunicazioni, e visionata da Reuters, bandire la tecnologia cinese per il 5G imporrebbe all’Europa costi maggiori per 55 miliardi di euro e allungherebbe il processo di transizione dal 4G di almeno 18 mesi. Ma di 5G non hanno parlato solo governi, intelligence ed esperti, ma anche siti che diffondono bufale e notizie inventate. Vediamone alcune.

Le bufale sul 5G

In Italia ad esempio è circolata la notizia, assolutamente falsa, che centinaia di uccelli sarebbero improvvisamente caduti dal cielo durante l’attivazione sperimentale della rete 5G. Altre notizie false, circolate negli Stati Uniti, parlavano poi del fatto che gli addetti ai lavori che installano le infrastrutture del 5G usano tute a prova di radiazioni, o che il Giappone avrebbe bandito la tecnologia 5G per il timore di rischi per la salute.

Un capitolo a parte meritano poi le notizie false diffuse dall’emittente russa RT sul suo canale in lingua inglese. Ne ha parlato diffusamente il New York Times, spiegando che secondo autorevoli esperti le notizie diffuse da RT circa i rischi per la salute che creerebbe il 5G rispondono a un preciso disegno geopolitico del Cremlino: siccome la Russia non ha ancora sviluppato una propria capacità rilevante in questa tecnologia, è un interesse strategico della Russia danneggiare gli altri attori internazionali che invece lo hanno fatto, Stati Uniti in primis.

Conclusione

Secondo le previsioni, la tecnologia del 5G avrà un impatto molto forte sulla connessione e la gestione in rete di dispositivi, oggetti (anche automobili), immobili e intere strutture. Per questo è ritenuta una battaglia strategica da tutte le potenze mondiali.

Ad oggi sono Cina e Stati Uniti i due Paesi più avanti con lo sviluppo di questa tecnologia. Secondo gli Usa la tecnologia cinese rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale e quindi, oltre ad averla in gran parte bandita sul proprio territorio, chiede ai propri alleati di fare lo stesso.

In questo contesto si inquadra la discussione in corso in Italia: l’alleanza con Washington e i timori, in parte apparentemente fondati, per la sicurezza nazionale spingono a ipotizzare un bando per la tecnologia cinese del 5G. Ma dall’altro lato non si vuole rinunciare a cuor leggero al vantaggio in termini economici e di tempistiche che rappresenterebbe l’utilizzo delle tecnologie cinesi già sviluppate.

La partita in corso è quindi sia economica che geopolitica. Questo secondo aspetto emerge anche dall’utilizzo delle notizie false da parte di testate vicine al Cremlino: visto il ritardo della Russia in questa partita, per ora a due, è suo interesse cercare di ritardare e danneggiare gli Stati più avanti nella ricerca tecnologica sul 5G.

Di THEMILANER

foglio informativo indipendente dell'associazione MilanoMetropoli.org

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