di David Eugster
La caccia alle streghe iniziò nella Svizzera occidentale e investì in seguito l’intero paese. Meno noto è il fatto che fino al XVIII secolo non si diede la caccia solo alle streghe, ma anche ai lupi mannari. Uno sguardo a un capitolo oscuro della storia alpina.
Nel Medioevo la Svizzera occidentale fu uno dei primi epicentri della persecuzione contro le streghe. Nella regione i processi contro gruppi ereticali quali i valdesi e i catari avevano permesso di accumulare esperienze inquisitoriali che trovarono applicazione nella lotta alle presunte sodali del demonio.
Nel 1439 nel Vallese, a Friburgo e nell’area del lago Lemano, ma anche a Basilea, si cominciarono a processare donne e uomini accusati di aver attentato al benessere della comunità cristiana con la magia nera.
Cavalcare il lupo
Nei verbali compilati dagli inquisitori fece la sua comparsa in quegli anni una figura che suscitò scalpore tra teologi e demonologi: il lupo. In un primo momento apparve sotto forma di cavalcatura delle streghe. Nel 1433 per esempio fu giustiziata a Basilea una donna denunciata dal suo vicino, il quale, nascosto in un cespuglio, affermava di averla vista sfrecciare davanti a lui a cavallo di un lupo.
L’immagine che ci si faceva allora delle streghe era meno definita di quella odierna: ancora non volavano con una scopa, un attributo delle casalinghe, ma su sgabelli da mungitura unti con grasso di bambino o su animali selvatici di vario genere. Cavalcare i lupi era una specialità alpina, come mostrano le fonti raccolte dal giornalista e specialista di lupi mannari Elmar Lorey, deceduto di recente.
Nello stesso periodo nella regione emerge l’accusa che streghe e stregoni non solo cavalchino i lupi, ma assumano anche la loro forma per uccidere il bestiame dei vicini o causare altri danni. Spesso le accuse colpiscono forestieri, poveri, persone che vivono ai margini della società. Attraverso di loro la società segna i propri confini, con il sangue e il fuoco.
All’epoca, soprattutto in Vallese, c’era una situazione vicina alla guerra civile. L’accusa di essere dei lupi mannari poteva servire a far fuori dei concorrenti. A Sion tra il 1428 e il 1431 si arrivò a giustiziare quasi 200 persone. I loro avversari le avevano accusate di essere parte di una setta satanica che mirava a instaurare un proprio regno.
Una delle accuse, si legge nella cronaca di Johannes Fründ, consisteva nella loro presunta capacità di trasformarsi in lupi selvaggi: lo “spirito maligno” stesso avrebbe insegnato a uomini e donne a trasformarsi in lupi e a riassumere poi sembianze umane.
Il lupo mannaro popolare
L’idea che delle persone potessero trasformarsi in lupi risale all’antichità. Nella mitologia, l’uomo lupo si trovava tuttavia sullo stesso piano di altri esseri umani trasformati in maiali, uccelli o tori. Il lupo della superstizione, che si intrufola nei racconti dei delatori e nelle confessioni degli imputati, è un lupo popolare, che emerge dall’aspro ambiente montano. Un animale che dal punto di vista dei contadini è inutile e dannoso.
Si credeva che un solo pelo di lupo potesse causare liti insanabili in casa, la sua carne era ritenuta velenosa. Nel Vallese selvaggio del XV secolo bande di giovani uomini terrorizzavano la popolazione indossando maschere di animali. Non per niente si davano il nome di lupi mannari: il lupo era un animale che suscitava spavento.
Come i teologi iniziarono a credere ai lupi mannari
Anche se nella Bibbia si trova la figura del lupo come nemico, nel latino della Chiesa non esisteva una parola per definire il lupo mannaro. Non serviva una parola per qualcosa che non poteva esistere: la creazione e la trasformazione di essere viventi era una facoltà esclusiva di Dio.
I primi rapporti sulla presenza di lupi mannari nella Svizzera occidentale furono ampiamente discussi dai vescovi riuniti a Basilea in occasione del Concilio del 1431. La questione a cui erano particolarmente interessati era se la trasformazione in lupo fosse solo un’illusione indotta dal diavolo o se qualcuno fosse davvero in grado di trasformarsi in lupo con l’aiuto di Satana.
Alcuni teologi ritenevano che simili trasformazioni fossero possibili: nello stesso modo in cui il creatore nelle vesti di vasaio dava forma a una brocca, le streghe e gli stregoni erano in grado di far assumere una nuova forma al proprio corpo. Il loro io rimaneva però immutato ed erano quindi responsabili delle loro azioni e potevano essere condannati.
Nel corso del XV secolo si trovò un compromesso: un uomo non poteva trasformarsi in lupo, ma poteva stipulare un patto con il diavolo che gli permetteva di apparire a sé stesso e agli altri nei panni di un lupo. Così anche la trasformazione in lupo mannaro diventava, in virtù del patto con il diavolo, un atto stregonesco.
Processi in Svizzera
Il “Malleus maleficarum” (martello delle streghe), il trattato sulla stregoneria del 1487 che assunse un ruolo centrale nella caccia alle streghe in Europa, popolarizzò questi concetti in tutto il continente. Nel 1580 a Ginevra un uomo è condannato a Ginevra per essersi trasformato in lupo con la “magia nera” e aver assassinato 16 bambini.
A Lucerna un contadino ammette nel 1664 di aver girato tre volte un ramoscello in un vaso pieno di unguento magico e di essersi così trasformato in lupo e aver sbranato le pecore del vicino. Fra la gente circolano consigli su come riconoscere un lupo mannaro: le sopracciglia unite sono un indizio di scorribande notturne, i lupi mannari si distinguono per la coda corta o completamente mancante.
L’inserimento della trasformazione in lupo mannaro nel catalogo inquisitorio la rese un reato di stregoneria fra gli altri. Per questo finì per perdersi sempre più fra altre accuse, come i malefici legati al maltempo, che non si limitavano a colpire alcune pecore, ma alimentavano il vittimismo di intere regioni.
Una delle ultime persone in Svizzera a essere condannate per la trasformazione in lupo mannaro fu Christina Jungtso, una domestica di Sion, giustiziata un secolo prima che nella regione la caccia alle streghe terminasse.