DEPORTATO I57633L'INCREDIBILE VICENDA DI ferdinando valletti

Quando fu deportato, Ferdinano Valletti aveva 23 anni, era sposato da qualche mese, la sua sposa era in attesa di un bimbo. Una sera qualcuno suonò al cancello della villetta  di Via Cesare Airaghi 44, dove abitata con la moglie e la mamma e lui, fiducioso come sempre, scese in ciabatte per vedere chi fosse… lo presero quelli della Muti, lo caricarono su un furgoncino e lo portarono prima a San Vittore e poi al binario 21 della stazione centrale di Milano, dove fu caricato su una tradotta e relegato in un campo di sterminio, quello di Mauthausen.

Ma che cosa aveva fatto Ferdinando Valletti, maestro d’arte all’Alfa Romeo? Aveva distribuito in fabbrica dei volantini che annunciavano lo sciopero generale del marzo 1944, uno sciopero che avrebbe fermato tutte le fabbriche dell’alta Italia per bloccare la produzione bellica dei nazisti.

Nando non era un facinoroso, ma di sicuro non mancava di coraggio e di entusiasmo, era stato aggregato dalla Brigata Garibaldi e, data la giovane età, incaricato di fare quella propaganda. Lui non esitò, non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato tradito da un suo “amico”, un delatore che per salvarsi la vita non esitò a mettere a rischio la sua.

Arrivato a Mauthausen subì tutto ciò a cui erano sottoposti i deportati: botte, rasatura dei capelli, doccia, zoccoli e divisa a righe con sul petto un triangolo rosso con il numero 57633, un numero che non avrebbe più dimenticato per il resto della sua vita.

Dopo poco più di un mese Nando fu trasferito a Gusen con cinque lavoratori dell’Alfa Romeo. Gusen era un lager terribile dove si lavorava in galleria, si scavava pietra, si prendevano botte e si subivano angherie di ogni genere. Li conobbe il Prof. Carpi che, non più giovane, spesso e volentieri cadeva sotto le pietre che cercava di trasportare.

Nando lo sorreggeva, lo aiutava a portare il peso e lo nascondeva ai Kapo’, lo fece fino a quando a Carpi, insigne pittore (poi rettore dell’Accademia di Brera) le SS chiesero di dipingere per loro, per questo Carpi si salvò, ma del suo amico Nando scrisse, pieno di gratitudine, sul suo “Diario di Gusen”, citò diverse volte “Valletti, un bravo giovane, che gli aveva salvato la vita”.

Venne anche per Nando il momento in cui potè dimostrare il suo valore, lui giocava nel Milan e quando un kapò chiese al suo gruppo se tra loro ci fosse un bravo giocatore di calcio, lui si fece avanti.

Fece una “prova” e se la cavò nonostante le sue pessime condizioni fisiche, giocò alcune partite sostituendo una SS e ebbe in premio un lavoro nelle cucine. Questo gli consentì di portare nella baracca cibo per i suoi quattro compagni dell’Alfa Romeo.  Si salvarono tutti grazie a lui.

Ferdinando Valletti tornò a casa nell’agosto del 1945 e trovò una bimba di 10 mesi ad attenderlo, quella bimba ero io.

Mio padre percorse il resto della sua vita accanto a noi, lavorando all’Alfa Romeo e diventando dirigente del settori trasporti interni, al termine della sua vita lavorativa ebbe molte soddisfazioni: divenne Maestro del Lavoro ed ebbe l’Ambrogino d’Oro, non dimenticò mai i campi di concentramento, ma non seminò mai odio, raccontò in diverse scuole superiori ciò che gli era accaduto, raccomandò ai ragazzi di vegliare sulla democrazia del loro Paese e di battersi per essa, ma di non vivere di rancore e di odio. L’importante era ricordare.

Il Milan, la squadra per cui aveva giocato come mediano per due stagioni, fu la sua grande passione, negli anni della malattia si assopiva  guardando Milan Channel e si illuminava quando i nipoti professavano la loro fede rosso-nera.

Quando la vita di mio padre finì, presi in carico il suo impegno nel divulgare la “memoria” e dal 2008 ho portato il racconto della sua incredibile vicenda nelle scuole, alla radio, alla televisione: ho trovato sempre persone sensibili che mi hanno aiutato in questo mio compito, primo fra tutti il regista veronese Mauro Vittorio Quattrina che ha tratto dal mio libro “Deportato I57633 Voglia i non morire“, uno splendido documentario dallo stesso titolo, che rende viva la testimonianza di mio padre. Qui voglio ricordare anche lo scultore Angelo Melaranci, che sentita la storia di mio padre, ne fece una scultura e me la donò.

Quest’anno mi ha aiutato  Radio Rossonera, Davide Grassi  mi ha intervistato, ha proposto il mio libro  e invitato al Binario 21 con una delegazione del Milan.

Per aver salvato la vita ad alcuni suoi compagni di prigionia gli fu conferita lo scorso anno la pergamena di “Giusto tra l Nazioni” .

Manuela Valletti

 

Di THEMILANER

foglio informativo indipendente dell'associazione MilanoMetropoli.org

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