45° All’ombra

 

La zona dove passava la strada che  conduceva a Wad Medani era  brulla e desertica. I rari alberi in maggioranza acacie inclinate dal vento e mangiucchiate dalle greggi di dromedari e capre davano al paesaggio un aspetto spettrale. Incrociavamo numerosi camion pieni  all’inverosimile di mercanzie di ogni genere e di persone aggrappate in qualche modo in cima al carico. Di tanto in tanto, dopo kilometri di solitudine, appariva un gruppo di umanità la più varia, addensata ai bordi della strada o meglio sotto la strada, dato che il rilevato su cui era appoggiato il nastro di asfalto era più in alto dei campi laterali. Il motivo di tanto assembramento era la presenza di un camioncino”ristoro” che offriva te’ e frittelle o  fave lessate e qualche bottiglia di seven up  tiepida..

Lungo il tragitto cercavo di farmi un’idea di cosa avrei trovato una volta arrivato a destinazione. Devo premettere che negli accordi di cooperazione era previsto che la controparte sudanese mettesse a mia disposizione un alloggio ammobiliato e una vettura. In altre parole una full immersion in una realtà piena di sorprese. A cominciare dalla vettura. Stavamo infatti recandoci a Wad Medani insieme, io e Moudawi, che stava guidando, su una Toyota Land Cruiser 6 cilindri benzina, 4200 cc. telonata, in parte, o meglio per quel che rimaneva del telone , consunto dal sole,  Un modello, credo dei primi  degli anni ’70, che i giapponesi devono aver venduto solo in Africa perché in  Europa non ne ho mai viste. 2- 3 km con un litro di carburante, che è perfetto in un paese con un deficit di approvvigionamento di petrolio e dei suoi derivati. Questa sarebbe stata il mio cavallo d’acciaio, il mio tormento per i prossimi mesi in quanto manutenzione zero e pezzi di ricambio inesistenti. Per quanto riguardava la casa avrei dovuto aspettare qualche tempo perché il  ministero competente doveva ancora decidere dove mettermi. Nel frattempo sarei stato ospitato da Roberto nella sua casa a Masaad, il luogo dove dovevamo costruire le infrastrutture.

Masaad si trova in  un area di diversi ettari posta nel triangolo di Gezira  tra il Nilo azzurro e il fiume   Dinder,  Un suolo coltivato e irrigato da molteplici canali costruiti al tempo della dominazione inglese. A poca distanza dall’abitazione scorre uno dei canali, sopraelevato rispetto al piano di campagna e lungo le sue sponde migliaia di aironi cinerini e garzette di varia forma e dimensioni, al tramonto occupano i rari alberi cresciuti casualmente.lungo i suoi bordi.

Avevo preso l’abitudine di recarmi  lungo il canale per ammirare questa meraviglia della natura. I rami facevano da sostegno per tutti questi uccelli piegandosi per il peso. Gli ultimi minuti prima dell’arrivo dell’oscurità era una lotta all’ultimo centimetro di spazio disponibile e il rumore   che facevano poteva sentirsi a centinaia di metri di distanza.

Quando un paio di mesi dopo il mio arrivo mi fu consegnata la casa e cominciai ad abitare a Wad Madani ed a recarmi al lavoro la mattina alle 5, per rientrare  alle 14, mi mancava il grido di battaglia serale degli aironi che  mi aveva accompagnato all’inizio. La mattina era magica. Guidavo la Land Cruiser lungo la pista e l’aria fresca lasciata dalla notte era piena dei profumi della natura.

Qualche gazzella attraversava correndo e spariva dietro i palmeti che crescevano rigogliosi lungo il fiume. Il cantiere dove operai sudanesi stavano costruendo un magazzino, si trovava ai limiti di un campo brullo e privo di qualsiasi vegetazione. Gli scarsi fili d’erba  che riuscivano a crescere solo a ridosso di un muretto o di un masso, chiarivano in modo inequivocabile che lì la parola umidità  era   sconosciuta. Infatti col passare delle prime ore del mattino, e cioè dal fatidico breakfast time in poi , il disco giallo oro del sole saliva senza pietà nel cielo e la temperatura dell’aria aumentava in modo parossistico.

Esisteva un casotto che fungeva da ufficio di cantiere posto a una cinquantina di metri dal magazzino in costruzione. Era lì che c’erano i progetti che dovevo seguire e controllare, un tavolo da disegno e poco altro. All’esterno si trovava una giara in terracotta piena di acqua che grazie all’evaporazione attraverso i pori dell’argilla, rimaneva fresca . A fianco un mestolone  con un manico di legno permetteva di raccogliere  l’acqua e bere. In realtà mi rovesciavo sulla testa e sulla sahariana alcuni mestoli d’acqua e poi intraprendevo la traversata fino al magazzino: al mio arrivo ero perfettamente asciutto, cinquanta metri!Quando alle 14 finivamo di lavorare iniziava la discesa agli inferi. Avevo nascosto  ( ai raggi del sole) la Toyota dietro  il muro del magazzino che proiettava l’ombra sul terreno fino alle 13. L’auto era rovente e un’emanazione     di benzina   che evaporava dai carburatori e dal serbatoio fungeva da droga  dei poveri  contro le allucinazioni che avrei avuto lungo il percorso verso casa. Iniziava  così il rientro. L’aria bollente mi asciugava gli occhi, il naso la bocca ,  il  vento trasportava  nell’aria sabbia finissima che smerigliava la carrozzeria e qualsiasi  superficie  del mio corpo con cui venisse a contatto. Fortunatamente il tragitto durava una ventina di minuti e quindi riuscivo ad arrivare a casa prima di essere completamente abbrustolito.

una via del luogo

La mia abitazione era di lusso. Consisteva in un piccolo villaggio costituito da 4 5 casette circondato da un muro alto 3 metri . In realtà ogni casetta era una camera; così c’erano due camere da letto, una cucina, un salotto e un bagno, tutte separate da viottoli in terra  battuta. L’arredamento lo definirei minimalista, almeno per la camera da letto dove un letto a due piazze ( detto angareb in sudanese) fatto in legno e con una rete intessuta di cordami di vario genere, faceva bella mostra di se sotto un ventilatore a pale in mezzo al soffitto. Le finestre, una per lato, quindi quattro, per fare ventilazione  a seconda da dove tirava il vento , non avevano vetri ma persiane mobili per regolare la luce. Avevo attrezzato il bagno che non disponeva di alcuna doccia  ma solo di un wc alla turca  con un fusto di quelli del gasolio da 200 litri, preventivamente pulito e deodorato ( un’impresa non da poco) , piazzandolo sul tetto e collegando il tubo d’arrivo dell’acqua del water in modo che si riempisse. Inserire quindi un tubo da giardino nel fusto e innescarlo succhiando era stato un gioco da ragazzi. L’acqua era intorno ai 37° verso le 15 del pomeriggio quindi una doccia gradevolissima, poi sul letto sotto il ventilatore a tutta birra non prima di aver bagnato il pavimento con diverse secchiate in modo da favorire l’evaporazione e quindi una diminuzione della temperatura della camera, e finalmente svenivo per un paio d’ore.