L’arrivo in Gabon


Claudio Trentino è un bell’uomo, sui 45 anni, capelli lisci abbastanza lunghi che gli danno un aspetto più giovane magari non più di  tanto ma si capisce che ci tiene molto a sembrarlo, alto, forse 1,85, un po’ sovrappeso ma comunque di aspetto gradevole, tono di voce accattivante che tradisce ogni tanto le sue origini romane, occhiali da vista a goccia che gli servono anche da occhiali da sole, vestito con un blazer e bottoni d’oro, i gemelli ai polsi, una cravatta college a righe blu e rosse. Claudio è il manager della società  Salini Costruttori in Gabon. Impiantato a Libreville da molti anni, ha procacciato, diretto e seguito i lavori con estremo successo e ha portato a termine contratti per miliardi. Il mio compito è quello di affiancarlo nell’arco dei prossimi 6 mesi e poi prendere il suo posto. Compito non facile. 

Quando alle 22,30 arrivo all’aeroporto Leon Mba l’aria è calda e appiccicosa.  I pochi passeggeri del mio volo scorrono lentamente tra le maglie della dogana e della polizia. Mentre sto in fila vedo Claudio  venirmi incontro nella zona interdetta all’accesso con un gran sorriso e la mano tesa. Una stretta di mano vigorosa mi fa capire che il mio collega è un uomo leale e sincero il suo atteggiamento disinvolto nei confronti della dogana e della polizia gabonese, che è ben inserito e conosciuto a tutti i livelli. In cinque minuti sono fuori ma purtroppo  la mia valigia è stata imbarcata su un altro volo e arriverà all’una di notte. No problem ! il doganiere di turno ci dice che la recupererà lui e potremo venirla a riprendere l’indomani mattina….questo episodio mi fa capire ancor meglio quanto il mio collega abbia potere e conoscenze.

Libreville è una città anomala per essere africana, almeno relativamente a quelle città che ho conosciuto fino ad ora. In alcuni punti ti crederesti in Cote d’Azur, la Promenade des Anglais e il  Negresco non sembrano essere molto diversi dal lungomare con le palme e dall’hotel Dialogue. Chiaramente l’impronta coloniale qui è ben diversa da quella lasciata dai francesi in altre loro ex colonie. Qui ci sono risorse, soldi, possibilità di fare impresa e i gabonesi,  poche centinaia di migliaia hanno un tenore di vita ben distante da quello dei loro confinanti camerunesi, guineani o congolesi che infatti costituiscono la forza lavoro di questo paese. Il gabonese medio è abbastanza benestante, manda i figli alle superiori e anche all’università. Ha un buon  tenore di vita, e non soffre della sindrome da ex colonia. In Gabon vivono moltissimi stranieri, soprattutto francesi che hanno ditte private soprattutto nell’estrazione del legno pregiato e nel petrolio. Le multinazionali, Total, Exxon, etc, sono ben agganciate al potere dell’uomo solo al comando : il presidente Omar Bongo che ha le mani in pasta un po’ ovunque e anche il potere supremo. Peccato che  la Francia comunque , grazie al franco CFA ed agli enormi guadagni che derivano dagli interessi che il Gabon paga alle banche per questo servizio (i francesi ripagano il loro disavanzo economico grazie a questo), gestisca il presidente a suo uso e consumo. I lati positivi però sono tanti: si trova di tutto, non ci sono problemi di approvvigionamento di generi alimentari, in generale si vive in un’atmosfera che oserei definire idilliaca. Esiste una sanità pubblica e privata che funziona con medici francesi  e omologhi gabonesi formati all’estero, nelle farmacie ci sono le medicine, e si costruisce, opere pubbliche, case popolari, ospedali, insomma tutto quello che noi, pallidi occidentali, o dovrei dire noi bianchi, giudicheremmo normale a casa nostra in Europa….o quasi. 

Durante i primi  due mesi di permanenza Claudio mi  presenta a molti ministri, viceministri e sottosegretari del governo inserendomi in circuiti privilegiati di contatti ad alto livello. Ma come in tutto il resto del mondo, molto spesso sono i piccoli burocrati, i direttori generali che alla fine fanno la differenza se vuoi ottenere qualcosa. Quindi tra cene e pranzi d’affari ho  modo di conoscere un discreto numero di individui che all’occorrenza potranno ritornare utili. C’è anche da dire che molti di questi signori non sono gabonesi bensì francesi che ricoprono il fatidico posto di 

“ conseiller,” e cioè sono assunti dal governo su indicazione della madre Francia affinché guidino saggiamente le scelte del Gabon  in qualsiasi campo. Li possiamo definire forse più pragmaticamente spie anche se non hanno assolutamente l’aspetto dell’agente segreto ma piuttosto del forte bevitore con la pancia e le cuperose, predisposti ad una prossima cirrosi epatica, alla gotta e con l’alito pesante. Tra questi, ad  uno in particolare Claudio mi aveva consigliato di rivolgermi in caso di necessità. Jean Pierre Braneyre era il consigliere di Georges Rawiri ,vice primo ministro e ministro dei trasporti, praticamente la gallina dalle uova d’oro del governo gabonese, almeno per quello che mi riguardava .

Il pavimento della sala d’aspetto dove mi aveva fatto entrare la segretaria, era di marmo di carrara. Paramenti di squisita fattura in essenze di legno pregiato, coprivano le pareti. Un dolce odore di legno di sandalo pervadeva tutto l’ambiente, dove una musica soffusa dolcemente accompagnava i minuti di attesa prima di essere messo al cospetto del ministro. George Rawiri , sulla cinquantina, era un uomo raffinato e l’abito che portava di Cardin ne esaltava la figura. Due sottili baffetti davano al viso un non so che di misterioso ma il tono suadente della voce era rassicurante. Dovevo chiedere al ministro di intercedere presso il direttore generale delle ferrovie gabonesi, Monsieur Tsiba, affinchè ci garantisse dei mesi supplementari per completare dei lavori senza appiopparci delle penalità che avrebbero compromesso seriamente il budget della nostra società. Il ritardo non era dovuto a nostre inadempienze ma a quelle di un subappaltatore gabonese che ci stava facendo vedere i sorci verdi come si dice in gergo. Tra l’altro detto soggetto ci era stato raccomandato dallo stesso Rawiri, quindi….  ero ottimista sull’esito della mia richiesta. Il ministro mi assicurò che avrebbe fatto il possibile e in dieci minuti mi ritrovai fuori dal Ministero dei Trasporti sul lungomare di Libreville. 

In seguito avrei dovuto contattare su invito del ministro due suoi collaboratori che avrebbero seguito la faccenda. In altre parole sua maestà George mi affibbiava due suoi mastini alle calcagna, per controllare e eventualmente ostacolare o agevolare qualsiasi transazione con Tsiba. Fu così che conobbi Monsieur Dupressoir et Monsieur Delorme, due soggetti che non augurerei di incontrare neanche ad uno squalo bianco.  Il gatto e la volpe, come li avevo soprannominati, viaggiavano sempre in coppia e difficilmente erano presenti nel loro ufficio sito in un decoroso ottavo piano di un edificio vicino al ministero dei trasporti. Infatti le numerose volte che ho avuto il piacere di incontrarli era sempre in qualche ristorante esclusivo di uno degli alberghi di lusso di Libreville dove mi davano appuntamento e dove alla fine della cena o del pranzo immancabilmente mi toccava pagare il conto. Si sa, gli affari spesso si concludono a tavola ma nel loro caso spesso non si concludeva nulla perché mancava sempre qualcosa che dovevo recuperare, un documento, una garanzia, un capitolato,  e dio solo sa cos’altro! E quindi au revoir alla prossima settimana all’ennesima cena. In una di quelle occasioni però accadde un fatto che avrebbe cambiato le cose. 

Dupressoir, sulla cinquantina, barba brizzolata, pancia sporgente, grande bevitore, era stranamente arrivato all’Hotel Dialogue  senza il suo collega quella sera. Mentre sorseggiavamo un aperitivo nella hall aspettando di cenare, notai che era molto turbato. Qualcosa non andava per il verso giusto.  Provai a chiedergli cosa stesse succedendo, sicuro che si sarebbe schernito e non mi avrebbe detto nulla. E invece iniziò a raccontarmi che era nei guai. Lui ,sposato e con moglie e figli grandi in Francia, nella migliore tradizione per un espatriato si era creato una seconda famiglia a Libreville, accompagnandosi con una nipote venticinquenne di Rawiry che adesso sosteneva di aspettare un figlio da lui. In cinta da forse 5 mesi, la donna lo stava ricattando per ottenere benefici economici, pena il ricorrere alla protezione dello zio che sicuramente avrebbe creato enormi problemi al suo futuro di consigliere. Pertanto, dato che l’indomani sarebbe arrivata dalla Francia la sua famiglia, quella vera, per trascorrere con lui un paio di settimane, era terrorizzato da quello che sarebbe potuto accadere nel caso che la moglie avesse scoperto la tresca e la nipote del ministro si fosse rivolta allo zio. Da non dormirci la notte! Mentre lui mi raccontava, cercavo di capire dove volesse andare a parare anche perché non capivo io in cosa potessi aiutarlo. Poi all’improvviso Monsieur Dupressoir mi guarda di sottecchi e mi dice: “So che voi avete una casa per le vacanze sulla Pointe Denis  (di fronte a Libreville, dall’altro lato dell’estuario, c’è una penisola , a poche miglia di distanza, dove alcuni stranieri hanno costruito dei bungalows dove andare a a passare il fine settimana) e so anche che è molto confortevole, mi domandavo se non era possibile portarci la mia famiglia che arriverà domani per qualche giorno in modo tale da tenerla lontano da questa storia. Io potrei stare con loro il fine settimana ma rientrerei a Libreville per lavorare, nel frattempo cercherò di sistemare la faccenda….. Le sarei molto grato se potesse favorirmi in questo modo, saprò come ricompensarla”. La prima reazione spontanea sarebbe stata quella di inventare una ragione plausibile per tirarmi fuori dalla situazione nella quale involontariamente mi stavo cacciando. In pochi secondi dovevo rispondere e rispondere bene, senza tentennamenti per fargli capire che ero disponibile. Una risposta negativa, non solo poteva compromettere il lungo lavoro di avvicinamento a Dupressoir ma innescare una serie di rivalse da parte sua nei miei confronti e quindi della società che rappresentavo. Quindi cercando di non mostrare tutti i pensieri che mi saltavano in testa , e che probabilmente mi si leggevano sul volto, annuii gravemente mormorando un “certamente, certamente Monsieur Dupressoir, sarò lieto di aiutarla”

I pescatori di Owendo stavano rientrando  risalendo il fiume con le loro barche slanciate lunghe ed affusolate, i  fuoribordo Yamaha al minimo  che riempivano l’aria con il fumo azzurrognolo e l’acre odore  del motore a due tempi. Sulle rive  del Lowé che sfocia nell’estuario del Gabon decine di donne con vestiti coloratissimi si accalcavano per accaparrarsi il pescato  migliore. Ceste sulla testa in un equilibrio instabile entravano nell’acqua e si avvicinavano alle barche facendo le loro offerte. A poca distanza, rientravano i pescherecci industriali che con le reti a strascico avevano fatto incetta di gamberi. Il mare del Gabon era molto pescoso e già allora  pescherecci cinesi si affacciavano nelle acque territoriali nazionali. Mentre percorrevo la strada che conduceva agli uffici della società vicino ad Owendo, spesso mi fermavo a vedere lo spettacolo pittoresco dell’arrivo dei pescatori, scendevo dall’auto e andavo ad acquistare del pesce fresco. Quella mattina, erano le 7,30, in macchina con me c’era anche Dupressoir.  Alle 12 arrivava la sua famiglia all’aeroporto e dovevamo concordare i passaggi futuri per evitare gaffes pericolose. Saltai gli acquisti ittici e mi diressi verso la darsena dove tenevo la barca che Claudio Trentino mi aveva lasciato prima di partire per l’Italia, ed aveva messo in vendita. Il cabinato con  4 cuccette, ed un motore entrobordo diesel da 180 hp, era in secca su un carrello e i quattro marinai addetti al varo  cominciarono a tirare con un muletto l’imbarcazione verso il mare.  Salimmo a bordo e in pochi minuti eravamo pronti a partire per la  Pointe Denis. Dopo una ventina di minuti di navigazione arrivammo al molo di fronte ai bungalow di proprietà della società. Mostrai a Dupressoir la casa, spiegandogli alcune cose che gli avrebbero permesso di far finta che la casa fosse sua (cosi come la barca), e  a precipizio rientrammo a Libreville per fare in tempo ad arrivare all’aeroporto .

La finzione prevedeva che io fossi un suo conoscente  e che lui mi avesse incaricato di andare all’aeroporto in sua vece a prendere la famiglia ( a questo scopo avevo preparato un cartello con su scritto a carattere cubitale DUPRESSOIR). Nel frattempo lui sarebbe andato a portare Nadine, la nipote di Rawiri, in un lodge fuori Libreville per cercare di trovare una soluzione  o meglio un accordo….Il tempo stringeva e quindi presi la sua auto e mi diressi al Leon Mba’. In aeroporto contattai un poliziotto  che conoscevo e gli chiesi di ritardare per quanto possibile l’uscita della famiglia Dupressoir dalla zona doganale.  Quando il poliziotto vide il nome sul passaporto, fece un cenno ad un doganiere che iniziò un’operazione di spulciamento nel bagaglio dei malcapitati. Le valigie furono spalancate come bocche aperte e tutto il contenuto fu sparso sui banchi. Mentre gli altri passeggeri transitavano rapidamente, madame Dupressoir e figli (un ragazzo sui 12 ed una ragazza sui 16) furono passati al setaccio come corrieri di droga. Dentro di me maledicevo il momento in cui avevo accettato di prestarmi a questa pantomima e speravo ardentemente che almeno il gioco valesse la candela. Dopo circa un’oretta, ad un mio cenno da lontano, il doganiere fece uscire i poveretti dalla zona interdetta e finalmente si ritrovarono all’aperto di fronte agli arrivi internazionali.  Appena mi videro con il cartello mi corsero incontro e la signora con una rabbia per nulla repressa se la prese con me accusandomi di non aver fatto nulla per permettergli di uscire rapidamente, che non erano dei terroristi, né dei corrieri della droga . Bofonchiando delle scuse in effetti poco plausibili,  e imprecando contro  le dogane gabonesi, mi diressi a tutta birra all’appuntamento con monsieur le conseiller sperando in cuor mio di trovarlo puntuale al porto di Owendo pronto ad imbarcarsi per la Pointe Denis con la sua famiglia.

Durante il tragitto spiegai a madame D. chi ero e che il marito aveva avuto un contrattempo e che mi aveva chiesto il favore di andare all’aeroporto in sua vece. Lo avremmo comunque incontrato a breve e sarebbero partiti per mare per una bellissima vacanza.

Alla darsena non c’era traccia del consigliere e io non avevo idea di dove fosse andato con la sua amica. Nondimeno cominciai a caricare sul battello i bagagli e feci salire la famiglia a bordo dicendo loro che probabilmente sarebbe arrivato dopo pochi minuti. Non sapevo cosa fare e stavo per gettare la maschera quando con uno stridio di freni  e schizzi di brecciolino,   arrivò  l’auto con Dupressoir.

Salito in barca, salutò calorosamente la famiglia e  fece cenno ai marinai di spingere il carrello in mare. Aveva molta fretta, si intuiva, di lasciare Libreville al più presto e a me disse solo un grazie e ci vediamo domani.

Per tutta la settimana seguente Dupressoir continuò ad andare alla Pointe Denis verso le 5 di pomeriggio, a passarci la notte, salvo rientrare verso le 10 di mattino e recarsi prima al lodge dove c’era Nadine e poi in ufficio a Libreville. La sua famiglia fu lieta di passare le vacanze in una casa a pochi metri dalla spiaggia, e non sospettò mai di nulla.

Nadine, dopo essersi vista riconoscere una buonuscita  in franchi cfa dell’equivalente di circa 25000 euro, accettò di sparire dalla vita del consigliere (il che mi ha sempre fatto pensare che il figlio non era di Dupressoir e che lui si era fatto infinocchiare  alla grande dalla bella Nadine). E io? Cosa ci ho guadagnato? Stati di avanzamento lavori pagati puntualmente a 30 giorni, varianti in corso d’opera accettate senza fiatare, nuovi contratti per svariati milioni vinti senza fare gare o quasi, e soprattutto l’immensa soddisfazione di tenere per le palle il gatto e la volpe. Infatti prima che partisse per la Francia mi ero fatto dare dalla signora D. il suo recapito  a Nantes con la scusa di mandarle delle foto che avevo fatto mentre arrivavano tutti insieme sul motoscafo tornando dalla Pointe Denis l’ultimo giorno. Non avevo che nel caso scriverle una letterina e…..raccontarle  le pazze serate del marito a Libreville! Che volete…c’est la vie!