La paura del buio

L’aria calda della notte filtrava attraverso la tenda che copriva la finestra spalancata sulla strada. Difficile dormire con quella temperatura.
Ero arrivato col buio a Skikda, cittadina di mare lungo la costa est, dove è presente Saipem dal 1968 con una raffineria ed un impianto di produzione di polietilene, e mi ero inoltrato nel centro cercando un albergo dove fermarmi. In una viuzza avevo trovato un’insegna con scritto Hotel in caratteri comprensibili e mi ero fermato lasciando l’auto proprio sotto la finestra della mia stanza. Nel mezzo della notte forse verso le 2 nel dormiveglia uno strano rumore proveniente dalla strada mi aveva fatto saltare giù dal letto e dalla finestra avevo visto che due persone stavano estraendo dalla Land rover i miei bagagli. Di corsa ho raggiunto il portone dell’albergo e con il proprietario anche lui svegliato dal trambusto sono uscito in bermuda e scalzo sul marciapiede. Mi sono infilato lungo la strada in salita che portava verso la direzione che avevo visto prendere ai ladri ma dopo una corsa a perdifiato di un centinaio di metri avevo dovuto desistere anche perché nel buio a destra e sinistra si perdevano numerosi vicoli ed era impossibile sapere dove si erano diretti.
In quel momento mi sono reso conto che stavo rischiando di brutto e ancora oggi sento nelle narici l’odore acre dell’immondizia che era ovunque anche tra i miei piedi scalzi che si mescolava a quello del cibo speziato che usciva dalle case. Il buio mi avvolgeva e strane voci mi arrivavano dai piani alti dei palazzi lungo la strada. Frasi di incoraggiamento a proseguire la caccia ed altre che mi consigliavano di lasciar perdere. Mentre ritornavo sui miei passi verso l’albergo il proprietario che mi era corso dietro mi ha detto che aveva chiamato la polizia e che dovevamo andare al commissariato subito.
La polizia algerina che avrei avuto modo di conoscere meglio negli anni successivi, si dimostrò molto efficiente. Ad una prima ricognizione del furto nell’auto, risultò mancare solo una valigia contenente molti effetti personali, vestiti e tutto un mondo di cose che avevo portato e che pensavo mi sarebbero servite durante la mia permanenza. Mi dissero di aspettare in una saletta del commissariato e dopo circa un paio d’ ore due poliziotti mi riportarono la valigia “intonsa”. Mi chiesero di verificare che non mancasse nulla, cosa che feci subito, ed in effetti tutto era al suo posto. Apro una parentesi perché ho detto che con me avevo la mia cagnetta Diana. Quando ero partito dall’Italia con lei già malata , non me l’ero sentita di lasciarla ai miei perché sicuramente sarebbe morta presto e volevo esserle vicino in quel momento. In auto nella sua cuccetta non aveva abbaiato durante il furto e quando, sceso di corsa avevo messo la testa sotto il telone , prima di correre dietro ai ladri, mi ero accertato che non le avessero fatto del male. Questo episodio, che fortunatamente per me si era risolto positivamente per quanto riguardava la questione materiale, gettava però una fosca luce proprio all’inizio della mia avventura.
La corsa nelle viuzze di Skikda nell’atmosfera densa della notte, carica di tensione e paura, mi riportava indietro a quando ero bambino e non volevo essere preda del buio. Nel resto del tragitto che mi portò ad Algeri il giorno seguente non cessavo di ripensare a quei momenti e mi dicevo che se volevo portare avanti la mia esperienza, in futuro non avrei più dovuto comportarmi così, non avrei più dovuto fare salti nel buio perché avrei potuto esserne inghiottito.
La casa che doveva essere il mio domicilio per i prossimi due anni, si trovava all’estremità ovest di Algeri in una zona conosciuta come la foresta di Bainem. La Cité de Bainem, un complesso residenziale di case HLM cioè case popolari, si adagia a gradoni lungo la collina che scende verso il mare suddivisa in 12 edifici di 4 piani. Il mio appartamento era situato al terzo piano ed essendo l’edificio il primo in basso avevo una splendida vista sul mare distante solo un centinaio di metri. Oltre la strada e lungo tutta la costa si sviluppa un insieme di casupole separate da vicoli stretti e muri alti di separazione tra le proprietà. Al di là, a tratti scogli scuri o piccole spiaggette con qualche barca di pescatori.
Il giorno dopo l’arrivo ho dovuto porre fine alle sofferenze della mia cagnetta, recandomi da un veterinario che dopo averla sedata l’aveva addormentata per sempre. Pensai di sotterrare Diana nella foresta dietro casa in modo da averla vicino e poter andare sulla sua tomba ogni tanto. Ma dopo due giorni dalla sepoltura nella fossa non trovai più nulla: i selvatici avevano utilizzato la sua carne per la loro sopravvivenza. Negli interrogativi che mi sono posto nei giorni successivi mi sono spesso chiesto se anche io avrei potuto essere una preda nel mondo in cui mi stavo inserendo.