Erano passati alcuni mesi da quando avevo effettuato l’ultimo viaggio a Franceville e Renato mi aveva messo al corrente settimanalmente dei progressi che stavamo facendo sul fronte della vendita della base al ministero della difesa. Avevamo consegnato i progetti delle varianti e i relativi costi per eseguirle. Ora non ci restava che aspettare l’avallo del ministro. Era il sette dicembre e anche se all’equatore non fa freddo l’aria natalizia comunque pervadeva i mercatini di Libreville. Mi ha sempre fatto un certo effetto vivere il Natale in posti dove la gente non ha la minima idea di cosa si tratti. Per certi versi è ridicolo vedere un abete illuminato in una strada di una città africana. I commercianti adornano le bancarelle con simboli di un altro mondo e di un’altra cultura per compiacere gli stranieri europei che si aggirano cercando qualche souvenir da comprare prima di prendere il volo che li porterà nella loro terra a passare le festività. L’ho sempre trovato squallido.
Durante gli anni vissuti all’estero infatti, ho sempre rispettato le usanze del paese che mi ospitava adeguandomi con umiltà e curiosità ai costumi delle popolazioni e non ho mai preteso di imporre il mio mondo, la mia cultura, il mio modo di vivere. Ero rientrato da poco in ufficio a Owendo e la segretaria, una giovane gabonese di nome Isabel, mi disse che dovevo chiamare urgentemente l’ufficio di Franceville perché Renato aveva avuto un malore ed era stato ricoverato nell’infermeria del campo. I due giorni che seguirono furono tmolto difficili.
Il primo volo per Franceville partiva alle 5 del mattino e mentre correvo a tutta birra verso l’aeroporto sotto una pioggia torrenziale, pensavo in che modo aiutare il povero Renato. Via telex avevamo già richiesto l’intervento dell’ Europ Assistance il cui Falcon comunque non sarebbe arrivato prima delle 17 ed allertato l’Ambasciata italiana ma quello che mi preoccupava era la situazione medica in loco. A Franceville non c’erano strutture sanitarie in grado di effettuare interventi d’urgenza semmai avremmo dovuto trasportarlo a Libreville. Il Boing 737 di Air Gabon si era staccato dalla pista dopo due tentativi non riusciti a causa della grande quantità di poggia che stava cadendo ed ora sobbalzando come un canguro cercava di bucare lo strato delle nuvole cariche di acqua che sovrastava la città. Dopo circa 45 minuti di volo iniziò la discesa su Franceville. Jean Paul, l’autista della base, mi stava aspettando sotto la scaletta scuro in volto (non è una battuta…) era molto preoccupato e mi condusse verso una saletta all’interno dell’aeroporto, una sorta di infermeria. Renato giaceva su un lettino a ridosso di una parete con l’intonaco scrostato e una luce al neon che illuminava scarsamente il locale. Vicino a lui un medico gabonese gli stava facendo una trasfusione di sangue. L’avevano trasportato lì in tutta fretta per trasferirlo a Libreville dato che non avevano sangue sufficiente del tipo richiesto B rh positivo. Renato aveva un’emorragia interna ed era poco cosciente. I suoi occhi a stento riuscivano a guardarmi mentre gli stringevo una mano e cercavo di rassicurarlo. L’ittero aveva ormai dato un colore verdegiallastro al suo viso ed anche alla parte del corpo che intravedevo sotto il lenzuolo che lo ricopriva. Erano le 7, 30 e l’aereo non sarebbe arrivato prima del pomeriggio. Renato aveva urgentemente bisogno di sangue per arrivare alle 17, poi i medici dell’Europ Assistance sicuramente avrebbero avuto il tipo di sangue necessario. Ma nel frattempo? Afferrai la mia patente di guida nel portafoglio e controllai quale era il mio tipo di sangue: BRH+, cazzo glielo potevo dare io e non lo sapevo! Chiamai il medico e gli dissi che ero disponibile a cedere il mio sangue subito. Mi disse che saremmo dovuti andare nell’ambulatorio in città, argomentando questioni legate all’igiene ed alla sicurezza mia e di Renato ad analisi da fare prima etc.. Lo presi per il braccio e conducendolo fuori dalla stanza gli dissi che lo scaricavo da qualsiasi responsabilità ma che per l’amor di Dio si sbrigasse a togliermi il sangue che serviva lì stesso senza farsi troppi problemi se non voleva avere la vita di Renato sulla sua coscienza. M i coricai su un altro lettino a pochi passi da quello dove giaceva il mio amico e il dottore mi prelevò una sacca di sangue, 400cc credo. Lo vidi prendere la sacca ed applicarla alla cannula di Renato. Tutto durò una buona ora. Con il passare dei minuti mentre il mio sangue gli entrava nel corpo, Renato iniziò a stare meglio e dalla sua bocca uscì un flebile “grazie Fabri te lo restituirò con gli interessi”. Feci per alzarmi perché volevo guardarlo in faccia e rispondergli per le rime ma precipitai nel buio più assoluto come se avessi ricevuto una legnata in testa. Non avevo mai dato il sangue e non sapevo che prima di rialzarsi in posizione eretta deve passare un bel po’ di tempo perché nel circuito sanguigno del corpo il cuore deve ristabilire la giusta pressione. Quando mi si annebbiò la vista e vidi tutto nero, mi ritornarono alla mente tutte le volte che in immersione in apnea avevo esagerato ed ero arrivato in superficie per miracolo con le gambe molli e la sensazione di svenire….Mi alzai con difficoltà e mi buttai sulla lettiga ,il corpo pesante come improvvisamente fossi diventato di piombo.
Il soffitto della stanza girava vorticosamente e udivo in lontananza il respiro pesante del mio amico a qualche metro di distanza. Quando finalmente mi passò il malessere e mi potei alzare il medico aveva finito la trasfusione a Renato e gli stava prendendo la pressione.
Purtroppo il Falcon di Europ Assistence aveva ricevuto il permesso di atterraggio a Libreville, quindi in tutta fretta imbarcammo Renato sul primo volo di Air Gabon posizionando la lettiga su un intera fila di sedili e alle 14,30 atterrammo a Leon M’Ba. Fortunatamente il tempo si era rimesso ed il volo non costituì un ulteriore problema per Renato. All’aeroporto ad attenderci ed ad organizzare un minimo di accoglienza oltre al personale del mio ufficio c’era anche il nostro ambasciatore in Gabon, Alfredo Matacotta, un caro amico ed un ottimo diplomatico. Grazie a lui riuscimmo a sveltire tutte le pratiche necessarie quando ci sono dei rimpatri d’urgenza, e alle 17 potei imbarcare Renato sul Falcon atterrato con mezz’ora di anticipo . Purtroppo questa storia non ebbe un lieto fine. Arrivato in patria il povero Renato in capo a una settimana se ne andò in cielo nonostante le cure, gli ottimi medici che lo presero in carico, e la sua tenacia. Nel corso della mia vita in Africa ho assistito in prima persona a tante tragedie come questa e ogni volta mi sono sempre chiesto se avrei potuto fare qualsiasi cosa per prevenirle. Coloro che mi hanno seguito in questi miei racconti hanno potuto vedere già quanti colleghi non ce l’hanno fatta a tornare sani e salvi a casa, incidenti, malattie, a volte la non percezione del pericolo incombente, guerre dichiarate e non, semplicemente sfortuna o il caso a volte. Resta il fatto che chi sceglie questa strada deve essere cosciente di quello che può accadere quando si è lontano, soli, in un paese a volte ostile, e a volte in balia degli eventi che possono precipitare nel corso di poche ore. Ma questa è un’altra storia.