Amore a prima vista

Un cielo grigio carico di sabbia, con nuvole sparse copriva la città mentre quella mattina del 24 aprile mi stavo recando in Ambasciata d’Italia per occuparmi di scartoffie varie. Il carabiniere preposto all’accoglienza dei visitatori mi riconobbe e fece un segno di saluto mentre dal suo sgabuzzino posto a fianco dell’entrata ascoltava la radio sulle onde corte che gli propinava gli ultimi aggiornamenti sul calcio della sua madrepatria.  Le mie visite erano frequenti in quanto continuava ad arrivare il personale italiano e non potevo demandare ad altri alcuni incarichi. Quella mattina mi feci annunciare al cancelliere e dopo pochi istanti fui introdotto nel suo ufficio. Nella stanza oltre al cancelliere c’era una coppia vestita in stile vacanziero, che strideva notevolmente con la mia tenuta in blazer e cravatta e mocassini saxone.  Il cancelliere in sahariana a grandi tasche, mi venne incontro sorridente, si scusò per avermi fatto aspettare e mi presentò ai due che sembravano  arrivati direttamente dalla spiaggia. La coppia di Milano era in procinto di andarsene ma Claudio, tale era il nome del funzionario, insistette che aspettassero prima di uscire perché   con me si sarebbe sbrigato subito e  quindi avrebbero potuto concordare quando fare le prove dello spettacolo.

Dovette leggere nel mio sguardo un po’ di curiosità e mi spiegò che loro tre insieme ad altri stavano preparando una serata musicale presso la “Casa d’Italia” ma erano in difficoltà perché il bassista che avevano nel gruppo era partito una settimana prima per l’Italia e non sarebbe potuto rientrare a Mogadishu prima di un mese. Mi venne spontaneo sorridere e pensai che forse quella era un’occasione per staccare un attimo dal lavoro stressante che stavo facendo e passare qualche serata lontano dall’ambiente lavorativo; infatti esordii “Il bassista ce l’avete davanti signori, a vostra disposizione, quando cominciamo ?” Di fronte allo sguardo incredulo dei tre dovetti dare qualche spiegazione in più raccontando i miei trascorsi degli anni ’70 nei vari complessi dove avevo suonato, i night club, le discoteche dove mi ero esibito e la musica che mi piaceva suonare, insomma mi presero in parola e prendemmo appuntamento per la sera alle 18 per fare le prove.

Dato però che io non sapevo raggiungere il  luogo dove provare, la donna che si era presentata come  Cristina, mi disse che alle 17 si sarebbe fatta trovare alla Casa d’Italia e ci saremmo andati insieme. Lei faceva la corista, il marito  Augusto il chitarrista e Claudio era il batterista. C’erano poi un organista, un cantante ed un’altra corista.

Non volevo tardare all’appuntamento  e quindi rientrato dal cantiere mi feci una rapida doccia, mi infilai un paio di jeans e una maglietta, saltai sul mio Toyota e mi diressi verso la Casa d’Italia. Questo luogo era un punto di ritrovo per tutti gli espatriati, c’era un ristorante, un paio di campi da tennis, un campo di bocce, insomma una sorta di dopolavoro stile italosomalo visto che era gestito da una coppia mista, lui italiano lei somala. Quando arrivai, erano le 17 in punto, mi avvicinai al bar e presi una gazosa chiacchierando con la moglie del gestore. A quell’ora c’erano pochi avventori, la “casa” si riempiva a partire dalle 19. Mi arrivava il rumore attutito dei colpi di racchetta provenienti dai campi da tennis, quindi salutai e mi diressi in quella direzione. Stavano giocando su entrambi i campi, si trattava di persone che conoscevo ,  alcuni   militari dell’aeronautica militare di stanza a Mogadishu. Non c’era nessun altro salvo una donna seduta su una panchina a guardare. Lei non la conoscevo, pensai fosse la moglie di qualcuno dei giocatori. Tornai quindi indietro e mi sedetti su uno sgabello al bar e ripresi la conversazione che avevo interrotto. Il tempo passava, erano già le 17,15. Pensai che  la corista mi avesse dato buca e malinconicamente mi alzai e mi diressi verso l’uscita. In quel momento entravano due italiani, padre e figlio,  che vivevano in Somalia da qualche anno con i quali ero andato a pesca alcune settimane prima. Mentre ci salutavamo, con la coda dell’occhio notai che qualcuno si stava avvicinando alle mie spalle ed era ormai a qualche metro di distanza. Mi voltai istintivamente e…..la vidi. I lineamenti minuti, i capelli biondissimi che le arrivavano fin sulle spalle, due occhi scuri e profondi sorridenti, una bocca che si atteggiava ad un’espressione di sorpresa nel vedermi. Piccola di statura, portava una gonna corta attillata  di cotone bianco ed una maglietta a canottiera con sopra uno scialle di seta che le ricopriva le spalle abbronzate .

Camminava con naturalezza, con passo sicuro portando dei sandali in corda con tacco basso  allacciati fin sui polpacci. Quando mi fu vicina i due amici salutarono rapidamente e si dileguarono in un batter d’occhio.  Disse:“ Fabrizio ma perché non sei venuto a sederti vicino a me sulla panchina del campo da tennis? avremmo potuto bere qualcosa  insieme, ormai si è fatto tardi e dobbiamo andare  via per le prove.”

La mia testa ronzava come  un alveare. Mille frasi mi frullavano in mente, dalle più stupide che accampavano scuse ridicole, a quelle che mi avrebbero fatto sembrare un deficiente, per cui optai per il silenzio e balbettai solo uno” scusami sono proprio distratto, sì sarà meglio andare”. Ci dirigemmo verso il parcheggio e Cristina profumava di buono, un delicatissimo odore di mughetto e di fresia, un aroma che dava alla testa…la mia.

Saliti in macchina però non potei fare a meno di scusarmi e di ammettere che “Cristo non ti ho riconosciuto” “Stamattina eri diversa, anzi eri un’altra, forse hai una sorella gemella?” “No sono sempre io solo che venivo dal mare , ero accaldata e vestita da  spiaggia, con tutta la sabbia appiccicata addosso, sudata e forse per questo mi nascondevo o quanto meno cercavo di non apparire”. “ Beh io non so che sortilegio hai fatto ma sicuramente devi essere una maga per poterti trasformare in questo modo ”. E così tra uno scherzo ed una risata arrivammo al luogo dove dovevamo fare le prove. Erano già tutti lì che ci aspettavano e prima che Cristina adducesse delle spiegazioni per il ritardo, facendomi fare una figura meschina,   mi accollai tutta la responsabilità dicendo che avevo tardato all’appuntamento a causa del lavoro. Iniziammo le prove ed io suggerii di preparare un vecchio pezzo di Joe Cocker, “ With a little help from my friends”. ( ad un certo punto il testo dice: would you believe in a love at first sight….fu propiziatorio?).  Suonavo, ma la mia mente non cessava di pensare a lei, lei che era lì a pochi passi da me. Il suo corpo a pochi metri dal mio. Mi sorrideva quando la guardavo e pensavo che avrei voluto essere altrove, con lei, da soli. Accidenti!  ma aveva un marito che era lì pure lui, ma non si rendeva conto di come la guardavo? Evidentemente mi stavo immaginando chissà cosa. Probabilmente un buon sonno ristoratore avrebbe cancellato tutte queste immagini che mi occupavano la mente.

Quindi verso le 22, salutai la compagnia e mi diressi verso l’hotel Guuleed. Dormire? Non se ne parlava proprio. Qualunque cosa facessi la mia mente tornava là, rivedevo il suo volto, il suo sorriso dolce, le sue labbra umide, e anche tutto il resto…Ma era mai possibile che mi fosse successa questa cosa? Cercavo di convincermi che era tutta una immaginazione, che domani sarei tornato ad essere quello di prima cioè libero da questo genere di pensieri che tra l’altro sicuramente avrebbero interferito con la concentrazione necessaria all’espletamento del mio lavoro. Mi dicevo, ma stai calmo, hai una moglie, una bimba di un anno che tra breve verranno a raggiungerti, sei una persona seria, è un pezzo che hai smesso di fare il coglione maschio stupido sempre in caccia di avventure per dimostrare chissà cosa poi! Ma dentro di me c’era una voce che  diceva che non era quello ciò che mi stava succedendo . Stavo vivendo il classico innamoramento! E non sapevo come fare per liberarmene!  Mio Dio! Per ricordare una cosa simile dovevo ritornare ai miei 18 anni (e quella volta era finita malissimo). Solo che ora ne avevo  38 e non avevo scusanti! Pensavo che avrei dovuto inventarmi  qualcosa  per non continuare con le prove e quindi sparire dalla circolazione  sperando che Cristina non mi venisse a cercare perché in quel caso qualsiasi buon proposito sarebbe miseramente naufragato.

Le prossime prove erano l’indomani sera quindi non avevo molto tempo per trovare una soluzione.  Certo, ma sì, avrei mandato il mio autista con un biglietto in cui accampavo una qualche ragione che mi impediva di continuare le prove e che avrebbero dovuto cercare qualcun altro al posto mio…. mi sarei scusato….ma che figura di merda Cristo Santo! La notte passò, il giorno dopo pure e mi ritrovai puntuale alle 18 davanti alla sala delle prove. Non ero riuscito a sottrarmi al mio destino! La  rividi e questa volta non riuscii ad allontanarmi da lei per tutta la durata delle prove….un disastro totale. Al punto che dovendomi  recare la mattina seguente a vedere come procedeva il montaggio dell’impianto di frantumazione che stavamo istallando vicino alla cava presso la guarnigione di Captain Sheck  Aden,  proposi a Cristina di farmi compagnia. Le avrei mostrato un tratto della valle dello Shebeli che non conosceva e avrebbe passato una giornata diversa. Infatti dato che il marito insegnava all’Università e non tornava mai a pranzo a casa, aveva tutta la giornata libera. Meglio sicuramente che stare a prendere il sole in uno dei club per stranieri sul Lido di Mogadishu.

Quando l’indomani passai a prenderla, il cuore mi batteva forte. Lo stare accanto a lei era una priorità. E parlavamo. Tanto. Di tutto. Quando raggiungemmo la pista che dalla strada principale girava a sinistra verso il mare e quindi verso la cava e ci inoltrammo nell’interno in mezzo alle dune capii che si era stabilito un legame, profondo, intenso, ricco di pathos. All’improvviso dietro una curva , dovetti frenare bruscamente e partirono in volo centinaia di galline faraone selvatiche dalle penne blu e nere  e con il loro grido stridulo e acuto ci lasciarono a bocca aperta.

Fermai l’auto e scendemmo. Non c’era nessuno intorno a noi per km e km, solo il fruscio del vento sulle acacie fiorite in quel periodo. Le tesi la mano e ci allontanammo dalla pista per alcune decine di metri salendo lungo un sentiero fin sulla sommità della duna. Da lì potevamo scorgere in lontananza l’azzurro intenso del mare che si congiungeva con il blu cobalto del cielo terso, senza una nuvola. Ci sedemmo sulla sabbia per alcuni minuti senza dire nulla. Il silenzio parlava per noi e diceva che qualcosa stava crescendo sempre più col passare dei minuti. Quando mezz’ora dopo arrivammo alla cava, parcheggiai l’auto  sulla spiaggia a qualche metro dal mare. Mi recai dai tecnici che stavano lavorando al montaggio e lasciai sola Cristina a prendere il sole sulla battigia. Quando più tardi tornai, la vidi che nuotava a qualche metro dalla riva. Mi sedetti a guardarla, mi tirai via le scarpe  e con i piedi nell’acqua alzai lo sguardo  verso il cielo e pensai che la mia vita stava cambiando…. per sempre.