Parlare di partita a scacchi tra Mosca e Kiev in Ucraina, significherebbe mancare di rispetto alle decine di vittime civili e militari e alle decine di migliaia di sfollati. Purtroppo però, se dovessimo analizzare quanto accaduto in quasi due anni di guerra, il Cremlino non ha fatto altro che utilizzare una tattica tipica del gioco degli scacchi: “lo Zugzwang”; ovvero costringere l’avversario a muovere a tutti i costi.

Seppure non appaia in nessuna competizione riconosciuta a livello internazionale, è noto che il presidente russo sia un abile giocatore di scacchi e molto probabilmente, dato che ogni scelta in Ucraina passa per il suo vaglio, non è escluso che le operazioni siano state condotte con la pazienza di chi vuole costringere il nemico all’errore senza scoprirsi.

Gli scacchi sono il fulcro del ragionamento che seguirà l’analisi, perché come già scritto, lo Zugzwang, non è altro che quella tecnica che costringe l’avversario a muoversi anche quando questo costituisce uno svantaggio per il soggetto in questione.

In breve, lo Zugzwang o “costrizione” è il termine internazionale usato per indicare il fatto di dover muovere quando ciò costituisce uno svantaggio per il giocatore, in quanto ogni mossa di cui dispone altera la sua posizione in favore dell’avversario.

Riavvolgendo così il nastro degli eventi di qualche mese, prima dell’estate 2023, iniziando dalla controffensiva di primavera, sembra che le cose per il governo Zelensky non siano mai andate migliorando, anzi, negli ultimi quattro mesi è iniziata una parabola discendente.

L’esercito russo ha consolidato durante l’inverno del 2023 le proprie posizioni, fortificandole, creando delle vere e proprie barriere difficili da superare, composte da un mix di centinai blocchi di cemento armato e di migliaia di mine antiuomo e anticarro. In questo modo l’esercito russo ha preferito giocare sulla difensiva costringendo Kiev a compiere il primo passo. 

Tale primo passo, fondamentale, per la riconquista dei territori controllati dai russi era costituito proprio dalla controffensiva di primavera la quale, avrebbe dovuto dare credibilità ai miliardi di finanziamenti, in armi e denaro, ricevuti da gran parte dei Paesi occidentali. 

La controffensiva di primavera però non è mai partita così come era stata annunciata dallo Stato Maggiore di Kiev, così, come un effetto domino, la politica estera ucraina ha visto una evidente involuzione nei rapporti con i partner occidentali. 

Successivamente alla debacle militare, si è scoperto che gran parte degli alti funzionari del Ministero della Difesa ucraino erano corrotti e vendevano illegalmente parti delle armi donate dagli occidentali a soggetti terzi, anziché impiegarli per la difesa del territorio (caso evidente l’aereo caduto in Bangladesh – partito dall’Ucraina – a giugno 2023 carico di armi destinate all’esercito ucraino); ad agosto durante il G20 in India non si è condannata la Russia – come accaduto l’anno scorso a Bali – ma si è parlato genericamente di stabilità e instabilità internazionale, senza alcun ammonimento specifico al Cremlino tutto questo mentre, Zelensky, forse intuendo un corso degli eventi avverso alla sua politica, si precipitava a minacciare i Paesi occidentali che avevano accolto i rifugiati ucraini, forse nella speranza che la tattica del pugno di ferro funzionasse, avvertendo che non ci può essere alcun modo di sapere come reagiranno i milioni di rifugiati ucraini in Europa se il loro Paese dovesse essere abbandonato. “Fino ad ora si sono comportati bene e sono grati per l’aiuto, ma non sarà una bella storia se queste persone saranno messe all’angolo.

Come se non bastasse è salita pure la tensione pure con il vicino polacco che ha chiaramente dichiarato di “non volere più dare armi all’Ucraina”, dopo che Zelensky all’ONU ha apertamento criticato Varsavia.

La corsa frenetica del Presidente ucraino nel cercare colpevoli forse è da imputare all’ansia di convincere i leader presenti alle Nazioni Unite che il recente vertice del G20 a Nuova Delhi, le cui conclusioni Kiev ha criticato come troppo favorevoli alla Russia, aveva mostrato i limiti delle sue iniziative diplomatiche, in particolare con i paesi emergenti. 

Cosa rimane da fare al governo ucraino? Probabilmente sul tavolo ha molteplici soluzioni ed opzioni da vagliare e, forse, dovrebbe iniziare a pensare di trattare con la Russia anche se questo comprometterebbe la proria credibilità internazionale e nazionale, in caso contrario si rischia di rimanere sempre più incastrati in una ragnatela. 

Kiev però ha optato per la scelta meno prevedibile, rischiando definitivamente di rompere ogni tipo di legame con gran parte dei partener occidentali: ovvero attaccare verbalmente la NATO, criticando l’Alleanza per non avergli dato un giusto supporto.

Vanificando, almeno moralmente, quanto fatto dall’inizio della guerra, soprattutto dall’amministrazione Biden e dal Congresso degli Stati Uniti che hanno inviato più di 75 miliardi di dollari in assistenza all’Ucraina, che include sostegno umanitario, finanziario e militare, secondo l’Istituto di Kiel per l’economia mondiale, un istituto di ricerca tedesco (in questa somma non vengono inclusi tutte le spese statunitensi legate alla guerra, come gli aiuti agli alleati che a loro volta sostengono l’Ucraina). 

La strategia dello Zugzwang è tutta qui, così come appena descritta. È stata creata una condizione di blocco dove qualsiasi scelta venga fatta rischia di minare – per auto sabotaggio – ogni possibilità per l’Ucraina di vincere la guerra, dato che, credo, appare inopinabile che Kiev stia vivendo una dei momenti più difficili da quanto la guerra è iniziata.

Basta ricordare quanto è avvenuto proprio di recente, con degli alleati occidentali sempre più insoddisfatti dall’andamento della guerra. Washington, ad esempio, ha approvato solo un numero limitato di carri armati Abrams e con gli F-16 che dovranno essere inviati da altri Paesi alleati; mentre rimane il no sull’Army Tactical Missile Systems, o ATACMS, (hanno una portata di quasi 200 miglia) e parrebbe che questo dovrebbe bastare dato che, fino al 2024, gli Usa non garantiranno altri aiuti.

Zelensky decide di volare negli States per incontrare il presidente Usa, nella speranza di riuscire a smarcarsi finalmente dalla tattica della “costrizione”, anche se il risultato sembra essere insoddisfacente; infatti, in via ufficiale ottiene dal Presidente Biden un semplice “Ci assicureremo che il mondo stia ancora con l’ucraina”. Chi è pratico di relazioni internazionali e navigato in geopolitica capisce bene che questo potrebbe essere un requiem per le ultime speranze dell’Ucraina di vincere la guerra

Filippo Sardella

Presidente Istituto Analisi Relazioni Internazionali

Di the milaner

foglio informativo indipendente del giornale

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