Di Cesare Sacchetti

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Se si sfogliano le pagine dei quotidiani di qualsiasi Paese europeo in questi giorni si troverà ovunque la storia di quello che viene chiamato lo scandalo del “Qatargate”.

In tale vicenda sono accusati di corruzione almeno quatto personaggi le cui immagini sono adesso praticamente ovunque.

Si tratta di Eva Kaili, la bionda ed avvenente eurodeputata greca vicepresidente del Parlamento europeo, Francesco Giorgi, già istruttore di vela, assistente all’Europarlamento e compagno della prima assieme a Antonio Panzeri, ex parlamentare europeo eletto tra le fila del PD e Luca Visentini, segretario della confederazione mondiale dei sindacati.

Ognuno è coinvolto a diverso titolo nell’inchiesta della procura federale di Bruxelles che ipotizza un versamento di tangenti da parte del governo qatariota verso gli indagati che in cambio di tali prebende avrebbero acconsentito a “lavare” l’immagine del Qatar per ciò che riguarda i cosiddetti diritti umani prima dell’inizio dei mondiali di calcio.

Ora ciò che sorprende di più di questa inchiesta è soprattutto la tempistica, e meno invece l’ipocrisia con la quale la stanno affrontando i media abituati all’esercizio di tale pratica.

Per chi non avesse famigliarità con Bruxelles e gli ambienti delle istituzioni europee è certamente utile sapere che se c’è un posto dove ognuno ha un prezzo questo è certamente la capitale della Unione europea.

A Bruxelles si aggira un vero e proprio esercito di lobbisti. Sono almeno 30mila e lavorano per i più potenti gruppi bancari, finanziari e farmaceutici del mondo. Sono loro i veri arbitri della Commissione e del Parlamento europeo.

Sono loro che decidono quali direttive vanno approvate e quali no, e non ci si deve sorprendere se ciò che sfornano le istituzioni europee finisce poi con l’essere una diretta espressione di questo grumo di poteri non eletti da nessuno.

Il fiume di denaro che scorre sotto i palazzi del Berlaymont, sede della Commissione, e dell’Espace Leopold, sede del Parlamento europeo, ammonta a miliardi di euro.

Ed è questo il fiume che comanda la capitale brussellese.

Sempre per restare nel tema dell’ipocrisia, la Commissione europea per rendere il tutto più “trasparente” ha deciso di istituire un registro dei lobbisti presso le quali si sono iscritte almeno 1229 ONG, ma, a quanto pare, non esiste alcun obbligo specifico di iscriversi a tali registro per poter fare lobbismo.

Molte imprese e multinazionali rifiutano di iscriversi e continuano a pagare profumatamente deputati e commissari per tutelare meglio gli interessi dei gruppi che rappresentano.

A dire il vero non fa neanche molta differenza l’iscrizione o meno perché essere presenti in quel registro non limita de facto l’attività del lobbista che sarebbe tenuto ad osservare uno stringato codice di condotta che non prevede nemmeno sanzioni particolari per chi lo viola.

L’essenza e i principi che governano Bruxelles sono quelli del miglior offerente. Chi passa per le istituzioni europee in qualità di commissario o deputato non è certo gli interessi dei vari Paesi europei che ha a cuore, ma piuttosto quelli di chi apre il portafoglio e versa sostanziosi bonifici magari in qualche conto corrente in Svizzera o qualche altro paradiso fiscale dei Caraibi.

Se la procura federale belga, che ha un ufficio dedicato alla corruzione, avesse dovuto veramente perseguire tutti i casi di corruzione che riguardano l’UE, avrebbe dovuto arrestare in pratica larga parte dell’Europarlamento e della Commissione europea.

Non lo ha fatto perché questa inchiesta è sospetta non solo per la tempistica ma per il suo bersaglio: il Qatar.

E’ noto che recentemente il Qatar è finito improvvisamente nella lista dei “cattivi” di determinati poteri atlantisti.

E le ragioni di questa improvvisa giravolta vanno ricercate nella geopolitica. Fino a pochi anni fa, nessuno aveva praticamente nulla da ridire sul Qatar.

Negli anni che vanno indicativamente dal 2013 al 2017, nessun media internazionale sollevava la questione dei diritti umani relativamente al Qatar. A nessuno interessava applicare lo standard liberale dei diritti umani contro Doha, perché in quegli anni i soldi di Doha facevano piuttosto comodo.

Erano gli anni nei quali esplodeva il conflitto siriano, e nei quali l’atlantismo era impegnato a rovesciare in ogni modo il presidente siriano Bashar al-Assad.

E a seminare morte e terrore in tutta l’area erano i tagliagole dell’ISIS i cui finanziatori erano principalmente l’Arabia Saudita e Qatar, all’epoca entrambi saldamente fedeli all’anglosfera così come il resto del Golfo Persico, fatta eccezione ovviamente per l’Iran, da anni in cima alla lista nera del sionismo.

E gli emiri qatarioti erano tra i più generosi finanziatori del terrorismo islamico al quale facevano arrivare una pioggia di milioni di dollari pur di continuare a terrorizzare l’intera area nella speranza di far cadere il governo del presidente siriano.

Il tentativo fallì soprattutto grazie alla ferma opposizione della Russia.

Ora però la mappa della geopolitica internazionale sta cambiando e sta assumendo nuovi connotati. Il mondo multipolare sta mettendo in discussione tutti i pilastri dell’anglosfera e sta abbattendo nel giro di pochi mesi alleanze che duravano da decenni.

È così che Riyadh guarda con sempre maggiore interesse alla Cina, il cui presidente Xi è stato ricevuto nella capitale saudita con tutti gli onorimentre Joe Biden viene persino respinto al telefono quando prova a chiamare i Saud.

Ed è così che il Qatar ha da poco siglato un accordo con la stessa Cina per fornire a Pechino 4 tonnellate di gas naturale.

Il Qatar è un Paese strategico per l’approvvigionamento di gas naturale dal momento che siede su enormi bacini che contengono questa risorsa. Averlo dalla propria parte quindi cambia di parecchio sia gli equilibri geopolitici che economici a livello internazionale.

Non deve stupire quindi che l’avvicinamento di Doha ai BRICS abbia provocato non poche irritazioni a Bruxelles, sede dell’UE e della NATO, che ha così deciso di lanciare la sua campagna di boicottaggio nei confronti del Paese.

Il libro dei diritti umani, prima chiuso a doppia mandata, si è aperto ed è accaduto ciò che il lettore già probabilmente sa.

Imbarazzanti “giornalisti” sportivi della RAI che si lanciano in accuse contro il Qatar accusato di non volersi sottoporre ai diktat della lobby gay. Accuse che ovviamente non venivano minimamente pronunciate quando il Qatar ospitava i mondiali di ciclismo nel 2016. All’epoca i qatarioti erano “buoni”, ricordiamolo.

Questa inchiesta sembra quindi avere una ragione più geopolitica volta a creare un casus belli tale da poter accusare Doha di aver ingerito in qualche modo negli affari comunitari e giustificare così una rottura definitiva dei rapporti con il Qatar e un suo possibile boicottaggio internazionale.

Già questa settimane le conseguenze dello scandalo potrebbero farsi sentire per ciò che riguarda la votazione al Parlamento europeo di una liberalizzazione per la concessione dei visti ai cittadini qatarioti.

E questo probabilmente è solo l’inizio. Se l’obbiettivo ultimo è scatenare una guerra economica a Doha allora l’inchiesta si allargherà fino a consentire alla Commissione di poter varare eventuali sanzioni nei confronti del Paese.

Ed è questa la ragione per la quale vediamo paginate e paginate dei giornali dedicate alla valigia piena di denaro con la quale il padre della Kaili era pronto a fuggire e altri dettagli sui quali i media si soffermano pur di poter istigare l’odio della pubblica opinione contro i personaggi coinvolti nello scandalo.

In altre parole, lo stato profondo europeo ha deciso di sacrificare alcune pedine per raggiungere un obbiettivo più importante.

Ciò non vuol dire che i personaggi in commedia, o in tragedia, non abbiano veramente preso tangenti dal Qatar.

Ciò vuol dire che la procura belga sta chiaramente agendo per indagare su quello che è un microscopico pezzetto della corruzione europea e lo sta facendo per ragioni di natura politica e non certo mossa da nobili intenti di giustizia.

Se avesse voluto veramente agire in base ai secondi avrebbe dovuto aprire negli anni scorsi altre inchieste e invece non ha mai mosso un dito su tutti i lobbisti del cartello farmaceutico, ad esempio, che da anni pagano commissari e deputati per fare gli interessi del primo.

Ed è proprio qui che c’è un enorme scandalo sul quale la procura belga non ha mai indagato. E’ quello che riguarda Ursula Von der Leyen e il contratto dei vaccini della Pfizer.

Ed è su questo scandalo che racconteremo ai lettori nei prossimi giorni. Gli scandali di cui non si vede nulla nelle pagine dei quotidiani sono quelli che danno più noie al potere mentre quelli che invece vengono raccontati nei minimi dettagli sono quelli che quasi sempre sono fatti trapelare dal potere stesso per perseguire meglio i suoi scopi.

Fonte www.lacrunadellago.net

Di the milaner

foglio informativo indipendente del giornale

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