Per capire meglio che cosa sono gli accordi di Minsk è necessario fare un inquadramento storico. Gli Accordi di Minsk sono costituiti dal Protocollo di Minsk I e dal Protocollo di Minsk II rispettivamente del 2014 e del 2015. Gli accordi di Minsk furono pensati per porre fine al conflitto nel Donbass, regione nell’Est Ucraina, tra il governo di Kiev e le autorità separatiste filorusse. In seguito alla ‘’Rivolta di Majdan’’, che depose l’allora presidente ucraino Viktor Kanukovich, le autorità separatiste filorusse autoproclamarono le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk nel Donbass. Con il primo accordo di Minsk l’obiettivo era quello di porre fine al conflitto secessionista nell’est dell’Ucraina.

Dopo l’elezione del presidente ucraino Petro Poroshenko nel maggio del 2014, Ucraina, Russia e Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) stipularono gli Accordi di Minsk I per concordare un pacchetto di misure di contenimento della escalation della guerra nel Donbass[1]. Il processo negoziale non fu facile. L’OSCE in questo processo aveva il compito di osservare e verificare il cessate-il-fuoco e il ritiro degli armamenti pesanti.

Dopo la sottoscrizione di Minsk I nel 2014 i combattimenti proseguirono, a dimostrazione del fatto che l’Accordo di pace non era sufficientemente incisivo. Un ruolo decisivo in questo senso fu giocato da Francia e Germania che con Mosca e Kiev diedero avvio al cosiddetto ‘’Formato Normandia’’ per le negoziazioni quadrilaterali e la stipula dell’accordo di Minsk II nel 2015.

Si parlò di una iniziativa del ‘’Formato Normandia’’ in quanto i leaders di Francia, Germania, Russia e Ucraina si incontrarono durante il settantesimo anniversario dello sbarco alleato del D-Day in Normandia e qui si decisero di impegnarsi per dare una svolta alla guerra in Donbass. L’obiettivo era quello di concordare ‘’un Pacchetto di misure per l’implementazione degli accordi di Minsk I’’ e di organizzare una de-escalation delle tensioni attraverso un canale di dialogo volto a non dipendere dal circolo delle sanzioni imposte dall’Occidente a Mosca dopo l’annessione della Crimea.

Minsk II è stato siglato in occasione del terzo round di incontri nel febbraio del 2015 prima delle tensioni che si verificarono tra Occidente e Russia in Siria e Medio Oriente.

Già un anno dopo, nel 2016, ci si rese conto dell’incertezza circa l’effettiva attuazione delle clausole dell’accordo.

Cosa prevedono gli accordi di Minsk

Il processo di applicazione di Minsk II è monitorato, oltre che dall’OSCE, anche dal ‘’Quartetto di Normandia’’. L’accordo di Minsk si articola in 13 punti e prevede le seguenti misure:

  1. immediato e completo cessate-il-fuoco a partire dalla mezzanotte del 15 febbraio 2015;
  2. Ritiro dal fronte di tutte le armi pesanti da ambo le parti entro 14 giorni e creazione di una “zona di sicurezza”;
  3. Monitoraggio del cessate-il-fuoco e del ritiro delle armi pesanti da parte dei rappresentanti dell’OSCE;
  4. Una volta avvenuto il ritiro delle armi pesanti, avvio di un dialogo sulle modalità da seguire per lo svolgimento di elezioni locali nel Donbass, in accordo con la legislazione ucraina;
  5. Concessione della grazia e dell’amnistia per gli individui coinvolti nel conflitto;
  6. Rilascio di tutti gli ostaggi e di tutte le persone detenute illegalmente;
  7. Garanzia di accesso sicuro alle zone di combattimento per la consegna e la fornitura di aiuto umanitario sulla base di un meccanismo internazionale;
  8. Ripristino di tutti i servizi economici e sociali nelle zone coinvolte nel conflitto, inclusi trasferimenti sociali (es. il pagamento delle pensioni, ripristino del settore bancario);
  9. Ripristino del completo controllo del confine da parte dell’Ucraina in tutta la zona di conflitto, a partire dal giorno successivo alle elezioni nelle regioni di Donetsk e Lugansk;
  10. Ritiro di tutti i gruppi armati, equipaggiamento militare e dei mercenari dal territorio ucraino sotto monitoraggio dell’OSCE;
  11. Riforma costituzionale in Ucraina basata sul principio di decentralizzazione entro la fine del 2015, con un riferimento specifico alle regioni di Donetsk e Lugansk e adozione di una legislazione permanente sullo “statuto speciale” delle suddette regioni;
  12. Elezioni locali nelle regioni di Donetsk e Lugansk in rispetto degli standard OSCE. Le modalità di svolgimento delle elezioni devono essere discusse e concordate con i rappresentanti delle regioni di Donetsk e Lugansk all’interno del Gruppo di Contatto Trilaterale;
  13. Intensificazione del lavoro del Gruppo di Contatto Trilaterale attraverso la creazione di gruppi di lavoro.

Punti di discordia dopo la sottoscrizione di Minsk II e nuovo impulso per la pace

punti di discordia per l’attuazione degli accordi Minsk sono stati diversi. Sicuramente un primo punto di difficile realizzazione sin da subito fu la piena e completa realizzazione del cessate il fuoco di cui al punto uno. Particolare preoccupazione, inoltre, ci fu per l’aumento dell’aliquota di armamenti pesanti rimossi dai siti di stoccaggio e reintrodotti nella zona di sicurezza (punto 2). Gli Osservatori Ocse continuarono a subire restrizioni nella loro libertà di movimento e di monitoraggio nel Donbass (punto 3). Questo avvenne principalmente nelle zone non controllate dal governo di Kiev e soprattutto in quei luoghi dove vi era il sospetto della presenza di armi proibite. Il punto 6 relativo al rilascio incondizionato di prigionieri incontrò molte difficoltà nella realizzazione.

Anche dal punto di vista politico la situazione non fu semplice. Il processo di riforma costituzionale che avrebbe dovuto garantire una progressiva decentralizzazione dei poteri nel paese (punto 11) e la relativa creazione di un qualche tipo di statuto speciale alle regioni di Donetsk e Lugansk si arenò. Vi era, infatti, una divergenza di vedute con i separatisti e indirettamente con la Russia relativamente a ciò che si doveva fare per arrivare a questo tipo di risultato. I leaders delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk e Mosca chiedevano che il governo di Kiev approvasse tale riforma costituzionale, riconoscesse lo statuto speciale al Donbass ed elaborasse una legge elettorale per i rappresentanti delle repubbliche stesse (punto 12).

Il presidente dell’Ucraina da parte sua sosteneva che la riforma costituzionale per la concessione dello statuto speciale al Donbass sarebbe avvenuta soltanto dopo aver organizzato elezioni in base ai criteri OSCE.  Per arrivare a questo, avrebbero però dovuto verificarsi condizioni come il cessate il fuoco, il ritiro di tutte le armi pesanti e delle truppe mercenarie (punto 10) e soprattutto il ripristino della sovranità territoriale al confine con la Russia (punto 9). Le parti anche dopo Minsk II sono risultate ancorate alle loro posizioni per cui sin da subito si capì la difficoltà a raggiungere un accordo sulla legge elettorale.

Nel 2019, tuttavia, furono compiuti alcuni progressi.

Vi furono innanzitutto due scambi di prigionieri. Il primo vertice del Quartetto Normandia dal 2016 si tenne a Parigi nel dicembre del 2019. Le parti, poi, convennero di applicare appieno il cessate-il-fuoco e ritirare le forze militari in altre tre regioni, non specificate però, entro la fine del marzo del 2020. Le parti ammisero che la missione speciale di monitoraggio dell’OSCE necessitava di un accesso sicuro in tutta l’Ucraina per attuare pienamente il proprio mandato. Rimasero, comunque, irrisolte le questioni relative alle elezioni nelle regioni controllate dai separatisti e allo status speciale per la regione del Donbass, voluto dalla Russia. Nel febbraio del 2020 cinque membri europei del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – Belgio, Estonia, Francia, Germania e Polonia – deplorarono le vittime e ricordarono alla Russia gli impegni assunti con gli accordi di Minsk.

Conclusione

Ad oggi si può dire che il cessate-il-fuoco previsto dagli accordi è stato più volte violato. L’OSCE ha registrato 200 violazioni tra il 2016 e il 2020 e oltre mille dal 2021. Dal 2014 ad oggi si contano, inoltre, oltre 13 mila vittime.

Diversi punti previsti dai Trattati non sono stati attuati anche a cause delle diverse interpretazioni che vengono date da Mosca e Kiev. Gli Accordi di Minsk non prevedono nessun obbligo per Mosca, che ritiene di non essere parte del conflitto, bensì di aver siglato gli stessi solo come mediatrice tra OSCE, Francia e Germania. L’ucraina dal canto suo sostiene che il ritiro di ‘’tutte le forze armate straniere’’ si riferisca alla Russia, la quale nega qualsiasi sua presenza militare nei territori separatisti. Kiev, inoltre, si è sempre rifiutata di parlare direttamente con i ribelli.

È stata la Francia di Macron nelle ultime settimane a rilanciare il ‘’Formato Normandia’’ per ridare vita al dialogo tra Russia, Ucraina, Francia e Germania alla luce dell’escalation di tensione tra Russia e Ucraina. Ad onore del vero, però, bisogna dire che la stessa Italia per voce del Presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato che le ‘’relazioni tra Ucraina e Russia sono disciplinate dagli Accordi di Minsk che non sono stati osservati da nessuna delle due parti’’.

Prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si riteneva che gli Accordi di Minsk avrebbero potuto offrire una piattaforma di dialogo diretto tra Ucraina e Russia.

L’autonomia alle regioni separatiste avrebbe potuto essere un mezzo per Mosca per ottenere un veto sulle decisioni di politica estera ed ottenere in questo modo delle garanzie di sicurezza, soprattutto per quanto riguarda la non adesione dell’Ucraina alla Nato. L’Ucraina avrebbe potuto, invece, ripristinare il controllo sul suo confine con la Russia. Per il Cremlino dovevano essere attuate prima le disposizioni politiche e poi quelle militari, mentre per Kiev il contrario. L’Ucraina voleva che la Russia e quelle che vengono ritenute le ‘’forze per procura’’ si ritirassero dall’est in modo da riprendere il controllo del confine e, solo ottenuto ciò, sarebbe stata disposta a svolgere elezioni locali secondo standard internazionali e nel rispetto della legge ucraina. Inoltre, Kiev, invece di riconoscere alle repubbliche separatiste uno status speciale come chiede Mosca, avrebbe voluto riconoscere loro dei poteri extra nell’ambito di un più ampio programma di decentramento.

L’obiettivo era probabilmente quello di negare al Cremlino la possibilità di continuare a controllare i territori dell’Est e avere in questo modo voce in capitolo negli affari ucraini con rappresentanti delle regioni filorusse seduti al parlamento nazionale e autorità regionali pronte a contrastare le politiche non gradite a Mosca, come per esempio l’adesione alla NATO. La Russia, invece, in base alla sua interpretazione prevedeva prima le elezioni locali e il riconoscimento di status speciale nel Donbass. Duncan Allan, membro associato del programma Russia ed Eurasia presso il think tank Chatham House di Londra, ha sintetizzato così il dilemma di Minsk, e cioè chiedendosi se l’Ucraina è sovrana, come insistono gli Ucraini, o se la sua sovranità debba essere limitata, come richiede la Russia.

Informazioni

Bibliografia

Un anno da Minsk II: a che punto siamo?, Daniele Fattibene, Osservatorio di Politica internazionale, n. 59-marzo 2016

Ucraina: perché occorre ritornare agli Accordi di Minsk?, Maurizio Delli Santi, Notizie Geopolitiche, gennaio 2022.

Che cosa sono gli accordi di Minsk sull’Ucraina, Andrea Muratore, Inside Over, febbraio 2022.

Ucraina: cinque anni dopo gli accordi di Minsk, EPRS, marzo 2020.

Ucraina, cosa sono gli accordi di Minsk e possono essere la soluzione della crisi?, Marta Serafini, Corriere della Sera, febbraio 2022.

Note

Di THEMILANER

foglio informativo indipendente dell'associazione MilanoMetropoli.org

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