(Ritorno in Africa)

Era una fredda mattina di fine gennaio quando mi stavo dirigendo verso l’aeroporto di Dar el Beida. Il mio collega Filippo, dopo aver procrastinato la sua partenza per ben due volte, finalmente si era deciso a compiere il grande passo. La settimana prima avevo dovuto oppormi ad un tentativo di occupazione del mio appartamento da parte di una famiglia pakistana inviata dal ministero dell’educazione che si era presentata alla mia porta. ” Salam aleikoum, Mi chiamo Abdullah Ben Khemid, questa è mia moglie Zayn, e questi sono i miei figli Mohamed e Hassan. Questo foglio dice che questa è casa nostra. Vorrei entrare.” ” Aleikoum es salam, credo che ci sia un errore, qui siamo al completo, penso che dovreste tornare al ministero e chiedere un’altra sistemazione, mi spiace per l’inconveniente”. Il poveretto rimase interdetto e vuoi perché il suo francese era approssimativo, vuoi perché la mia risposta non lasciava molto spazio a repliche, girò i tacchi e raccolte le sue carabbattole che aveva depositato sul pianerottolo, mestamente scese le scale e si diresse verso la famigerata fermata del bus sul piazzale antistante la palazzina seguito a ruota dalla moglie e dai bambini. Mi venne da pensare che non doveva essere la prima volta che gli veniva sbattuta la porta in faccia. (Cosa che io non avevo peraltro fatto). Quindi quella mattina ero incazzato come una zanzara con il mio collega che con il suo mancato arrivo, stava mettendo a repentaglio la mia tranquillità domiciliare. Tuttavia mentre mi stavo districando in mezzo al traffico per uscire da El Harrach e raggiungere l’aeroporto, mi dicevo che una volta che il mio amico avesse fatto la fatidica “prise de fonction” presso l’Università, saremmo stati in una botte di ferro e non ci sarebbero stati altri tentativi di sbatterci fuori dall’appartamento da parte di altri cooperanti. Quindi il piano era, una volta che fosse sbarcato in terra algerina, di portarlo subito all’Epau, andare da Mr. Ikene, firmare la documentazione che lo autorizzava ad avere un alloggio che io avrei caldeggiato essere presso il mio domicilio, ” signor preside, si ricorda che le avevo detto che al posto di Franco sarebbe arrivato un altro collega? ebbene eccolo, così risolviamo il problema dell’appartamento e non c’è bisogno che lei faccia un’ulteriore richiesta al ministero per un altro alloggio”. Questo era il piano…

Il volo AZ264 da Fiumicino era da poco atterrato sulla pista e io mi disponevo a intercettare da una postazione sopraelevata ( ero salito su un muletto in panne che era stato abbandonato nella sala degli arrivi), lo sguardo sicuramente terrorizzato del mio partner per i prossimi ventiquattro mesi. Da dove mi trovavo potevo vedere i banchi dove i doganieri aprivano le valige e quindi i viaggiatori in fila. Io non conoscevo Filippo, ma pensavo che comunque non sarebbe stato difficile riconoscerlo. I passeggeri del volo erano per lo più algerini di rientro e gli italiani in percentuale erano pochi. Ma nonostante avessi una visione chiara sulle persone in fila non mi riusciva di individuare il mio uomo. Quando però il gruppo di passeggeri italiani fu rapidamente passato attraverso le maglie della dogana, ed uscirono e se ne andarono senza guardarsi attorno alla ricerca di qualcuno, mi resi conto che in fila restavano solo gli algerini e tra questi uno in particolare mi fece pensare che fosse Filippo. Capelli ricci neri, carnagione olivastra, baffi e occhiali da vista con montatura scura, giacca e cravatta, meno di un metro e settanta, lo vedevo gesticolare relazionandosi con uno dei doganieri. Le sue valige completamente sbudellate e il contenuto sparso sul bancone, continuava ad agitare il suo passaporto sotto il naso del milite che non accennava minimanente a dargli retta ma continuava imperterrito a sminuzzare il contenuto dei suoi bagagli. Improvvisamente sì avvicinò un ufficiale e evidentemente chiese al malcapitato di seguirlo negli uffici perché i due sparirono dietro una porta che si chiuse alle loro spalle. A questo punto fui sicuro che si trattava di Filippo. Dopo circa mezz’ora, con la giacca sul braccio, la cravatta allentata e visibilmente alterato, uscì dall’ufficio e si diresse verso il bancone e iniziò a rimettere le sue cose nelle due valige. I doganieri apparentemente non erano più interessati a lui e dopo pochi minuti fece la sua apparizione nella sala esterna degli arrivi, stremato! Mi avvicinai ” Devi essere Filippo, credo, ciao sono Fabrizio, ma cosa ti è successo?” Fui investito da una sequela di insulti, parte in siciliano e parte in italiano che non davano adito a dubbi sulla provenienza ed il mestiere delle madri dei doganieri e comunque di tutti gli algerini in generale. ” Ma ti rendi conto, pensavano che io fossi un algerino, il passaporto italiano avevo, maledetti stronzi, solo perché ero scuro di pelle e con i baffi, un algerino pensavano che fossi, figghi di puttana sono. Se devo stare qui due anni, a casa torno e con il primo volo, figghi di puttana sono! A mia, Filippo Pacino di Castelvetrano, come un cane mi hanno trattato sti maledetti! All’Ambasciata ho dovuto telefonare, capisci, solo così hanno creduto che il mio passaporto non fosse falso” “Ok ok Filippo , ora calmati, ce ne andiamo a casa, ti fai una bella doccia ti riposi e”…” Figghi di puttana sono!” ” Dai, dammi una valigia che ce ne andiamo, l’auto non è distante” . È così tra una bestemmia e un porco qui e un porco lì, raggiungemmo la Land Rover nel parcheggio. Il mio progetto di andare subito all’Università era naufragato perché non era assolutamente il caso di mostrarlo al preside in quello stato e quindi imboccai la Route Moutonnière in mezzo al traffico alla volta di Bainem.

Mentre attraversavamo la città, Filippo si guardava attorno, stupito dal gran casino che ci circondava. Continuava a blaterare improperi all’indirizzo dei doganieri, ma piano piano si stava calmando. Mentre transitavamo per El Harrach, gli mostrai in lontananza quella che sarebbe stata la sua sede di lavoro per i prossimi anni e gli dissi che l’indomani ce lo avrei portato. Quando dopo circa un ora arrivammo a Bainem mi disse:” ma così lontani siamo dall’Università?””ebbene si mio caro Filippo, la casa che ci ha assegnato il ministero si trova qui”” e non è possibile averne una più vicina, perché io non ho una macchina per poterci andare” spiacente di deluderti ma è prendere o lasciare, al ministero se ne sbattono allegramente se noi stiamo distanti e ci tocca attraversare tutta la città da ovest ad est e viceversa per andare a lavorare. Quindi fattene una ragione, tanto andremo insieme e così risolverai il tuo problema.”Purtroppo così non accadde. Quando l’indomani andammo all’Epau, Filippo potè fare la sua “prise de fonction”, gli venne attribuito il mio stesso alloggio visto che eravamo due “celibataires”, ma gli orari delle sue lezioni non combaciavano con i miei, erano di lunedì tutta la giornata e il mercoledì solo il pomeriggio, e non ci fu nulla da fare per modificarli. Questo stava a significare che avrebbe dovuto raggiungere l’Università con i mezzi pubblici!!! E ho detto tutto!

Fabrizio De Robertis

Di the milaner

foglio informativo indipendente del giornale

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