Il biellese è storicamente legato all’attività tessile. Le donne sono da sempre protagoniste di questa attività produttiva che ha radici nel Medioevo. Non è un caso allora che questo territorio sia stato anche all’avanguardia nell’ambito dei diritti delle lavoratrici. Una breve storia dal Contratto della montagna (1944-1945) fino ai giorni nostri

Un piccolo palco fuori dal tempo, una vecchia pista da ballo piena di tavoli e sedie e alcuni avventori che si riparano da una pioggerellina stanca sotto gazebo e ombrelloni improvvisati.

Bar e ristoranti hanno riaperto da pochi giorni in Italia dopo un lungo periodo di inattività, ma possono ospitare i loro clienti soltanto all’aperto. Ci troviamo immersi nel verde delle montagne biellesi, in località Selve Marcone, e siamo appena arrivati presso Il Quadretto.

Quella che sembra una normale trattoria di montagna, alla buona ma molto accogliente, è in realtà un luogo in cui sono state scritte pagine importanti della Resistenza, delle relazioni tra industriali e classe operaia e, non da ultimo, della storia delle donne in Italia. A ricordarlo c’è soltanto una targa commemorativa, posta sul muro dell’edificio, su cui si legge: “In questa casa durante l’occupazione nazifascista i lavoratori biellesi stipularono il Contratto della montagna”.

Resistenza e diritti

Durante la Seconda guerra mondiale, le condizioni di vita della popolazione biellese peggiorarono drammaticamente. Le privazioni erano all’ordine del giorno e la repressione fascista era sempre pronta a spegnere qualsiasi forma di protesta. Nonostante il clima di terrore, tra il 1943 e il 1944, ripartì l’attività sindacale democratica e si verificarono degli importanti scioperi in alcune delle più importanti fabbriche tessili biellesi.

Alcuni imprenditori, consci della situazione drammatica, accolsero le richieste di lavoratori e lavoratrici e li protessero addirittura dalle rappresaglie fasciste. Questi stessi imprenditori si convinsero che i partigiani rappresentavano l’unica via d’uscita dalla dittatura e li supportarono attivamente attraverso forme di autotassazione. In questo clima di guerra e di collaborazione tra forze democratiche prese forma una delle esperienze più straordinarie della Resistenza italiana.

Tra il 1943 e il 1944, infatti, alcuni imprenditori e i rappresentanti dei lavoratori industriali stabilirono rapporti sistematici al di fuori del controllo fascista. In alcune vallate del biellese, le parti sociali, con la supervisione del Comitato di Liberazione Nazionale, il movimento partigiano, firmarono degli accordi di valle.

La scommessa su un futuro democratico

Nel 1945 questo insieme di accordi fu riunito in un testo unico, valido per tutto il biellese, che fu firmato proprio al Quadretto e prese il nome di Contratto della montagna. A vigilare sull’atto conclusivo delle trattative ci furono partigiani armati che ben conoscevano quelle zone e i pericoli delle imboscate fasciste. Con questa firma, industriali e lavoratori scommettevano su un futuro democratico e di pace: il contratto sarebbe stato valido anche alla fine della guerra.

Questo patto clandestino sanciva, forse per la prima volta in Europa, la parità salariale tra lavoratori e lavoratrici. Inoltre, fissava l’orario di lavoro a 40 ore settimanali e riconosceva per la prima volta un congedo di maternità di tre mesi.

Questo accordo fu siglato soltanto da uomini ma, secondo Simonetta Vella, direttrice del Centro di documentazione della Camera del Lavoro di Biella, “era il segno di una presenza femminile che, nelle fabbriche e nella società biellese, si era imposta già da un secolo. Le donne avevano un peso notevole e questo è passato precocemente anche nella cultura sindacale e politica”. Secondo la storica del lavoro Eloisa Betti, autrice di molti studi dedicati alla parità salariale in Italia, il Patto o Contratto della montagna “non ebbe solo valenza locale e simbolica, ma fu importante anche per il dibattito costituzionale. L’articolo 37 della Costituzione è dedicato proprio al principio della parità salariale tra uomo e donna a parità di lavoro”.

La Costituzione disattesa

L’articolo 37 della Costituzione non fu rispettato per buona parte degli anni Cinquanta. Durante quel periodo, afferma Betti, “molti contratti, sia nel settore pubblico sia in quello privato, contenevano ancora delle griglie salariale basate sul sesso”.

Nel frattempo, furono emanati trattati di carattere internazionale sul tema che favorirono una ripresa del dibattito nazionale: due Convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro e il Trattato europeo di Roma del 1957. Oltre a questo, “figure femminili di rilievo, tra cui occorre menzionare almeno Teresa Noce, contribuirono a portare a poco a poco la parità salariale nell’agenda politica nazionale”, ricorda Betti. Teresa Noce, protagonista del processo costituente, fu a capo proprio del sindacato tessile.

Nella stessa Biella, il Contratto della montagna, rimasto in vigore anche dopo la fine della guerra per tutte le operaie già attive durante il conflitto, non era applicato per le nuove assunte. Le donne, afferma Vella, non rimasero inerti: “Nel 1961, la Cgil di Biella appoggiò una vertenza-pilota della tessitrice Mary Ceria contro la ditta Tallia Galloppo Dioniso di Vigliano. Mary Ceria chiedeva di essere pagata come i colleghi uomini. La giustizia, sulla base dell’articolo costituzionale e dei trattati internazionali sopramenzionati, le diede ragione”.

Il precedente giuridico rischiava di mandare molti industriali in fallimento anche perché altre tessitrici erano pronte a seguire l’esempio della Ceria: “Sindacati e industriali si accordarono allora per un risarcimento una tantum, a patto però che gli industriali stessi, molto influenti, sostenessero la parità salariale al tavolo delle trattative per il rinnovo del Contratto nazionale. La sentenza ebbe quindi ricaduta successivamente sul contratto nazionale dei e delle tessili, che estese la parità di salario a tutta la categoria su tutto il territorio nazionale”. Anche negli anni Sessanta, quindi, Biella fu uno dei contesti all’avanguardia in materia di diritti delle lavoratrici.

Un principio “naturale”

Per le operaie attive nel biellese tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, la parità salariale era diventata ormai un principio non negoziabile. A dirlo sono Anna Maria Ranghino e Rosangela Fontanella, due ex operaie tessili oggi in pensione.

Una parità salariale che però non corrispondeva a pieno alle pari opportunità: “A fare carriera erano soprattutto gli uomini, erano loro che salivano di livello. Le donne rimanevano spesso ferme ai livelli salariali più bassi”, ricorda Fontanella, “anche se noi donne non eravamo certo passive: se c’era da affermare un diritto o da sostenere una collega non restavamo certo in silenzio”.

A confermarlo è Ornella Ortu, operaia ancora attiva: “Le tutele scritte nero su bianco nei contratti non sono per tutti e per tutte. In un contesto in cui la precarietà è sempre più diffusa, a soffrirne sono soprattutto le lavoratrici, soprattutto se madri. Non sono poche, ad esempio, le donne costrette a lavorare part time. Nei contesti aziendali più piccoli i problemi non mancano”.

Un contesto che oggi appare cambiato, come conferma Fontanella: “Oggi i diritti conquistati a fatica dalle lavoratrici sono messi in serio pericolo dalla crisi e dalla precarizzazione. C’è molta più paura anche perché c’è molto meno lavoro”.

FONTE

Di THEMILANER

foglio informativo indipendente dell'associazione MilanoMetropoli.org

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