La coscienza, che andrà consolidandosi, che il peggio della pandemia è dietro alle spalle non rappresenterà alcuna “luce in fondo al tunnel”, a meno che con ciò non si intenda il treno merci che ci viene addosso.

Sul piano internazionale l’Italia corre il rischio di essere schiacciata, a causa della propria doppia subordinazione, atlantica e europea, che ne blocca eventuali margini di manovra in direzione dei mercati orientali (che per ragioni di collocazione geografica sarebbero strategici).

Sul piano interno gli scarsi margini di manovra internazionale sommati agli effetti della crisi Covid si ripercuoteranno in ulteriore pressione sulle condizioni reddituali dei ceti lavoratori, dipendenti e autonomi, già stremati.

Si tratterà di una soglia critica dove le forze del capitale verranno messe in grave tensione, e, come sempre accade, si dibatteranno come un drago ferito, colpendo in ogni direzione, e scaricando ogni problema verso il basso.

In questa cornice non è possibile tralasciare un fatto, che avrà pesantissime conseguenze: in questo passaggio cruciale la protesta sociale sarà guidata dalla Destra, l’unica parte politica che ha mantenuto qualche contatto – per quanto strumentale e artefatto – con i ceti popolari.

Ora, alcuni amici mi hanno rimproverato di aver dato troppo spazio alle questioni eminentemente ‘sovrastrutturali’ che gravitano intorno al ‘politicamente corretto’, alla ‘identity politics’, al ‘second-wave feminism’, ecc.

Il rimprovero è forse giusto, se si vuole guardare alla storia pensando ad una dimensione di lungo periodo. Dopo tutto è pressoché certo che tutte queste preoccupazioni verranno spazzate via dalla crudezza della realtà che ci aspetta nei prossimi anni e decenni. Nel breve termine, tuttavia, gli effetti di sviamento di quell’indirizzo ideologico sono pesanti: essi creano un tappo mentale che sta coinvolgendo sostanzialmente tutta l’area di ciò che, con termine desueto e oramai insignificante, si chiama ‘sinistra’.

Ed è proprio perciò che a fianco delle proteste popolari nel nome della dignità del lavoro ci sarà solo la destra più o meno estrema: perché a chiunque non sia un insider della sedicente “borghesia illuminata” è chiaro che la sinistra ha altre priorità, priorità che appartengono integralmente ad un giochino culturale tutto

interno alla tradizione della sinistra liberale. Questo è il segno della completa bancarotta di un pensiero progressista, che dopo aver egemonizzato le istituzioni culturali del paese le ha portate alla deriva in forme spettacolarmente autoreferenziali.

Così, in un momento in cui tutte le risorse culturali di critica al sistema di produzione capitalistico dovrebbero essere raccolte, la tradizione culturale che in passato aveva più contribuito a questa prospettiva si ritroverà a discutere di asterischi e sensibilità ferite, mentre il carrarmato della storia ci passerà sopra.

Nessuno più dello scrivente venera l’alta cultura, ma se la cultura distintiva dell’odierno ceto intellettuale dev’essere un incrocio tra convenzionalismo bigotto e psicopolizia orwelliana, allora non posso che ritrovarmi in quel bel verso di De André:

“Intellettuali d’oggi,idioti di domani,ridatemi il cervelloche basta alle mie mani”

ANDREA ZHOK

Andrea Zhok è un filosofo e accademico italiano, professore di Antropologia filosofica e Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Milano.

Wikipedia Nascita: 1967 (età 54 anni), Trieste

Di THEMILANER

foglio informativo indipendente dell'associazione MilanoMetropoli.org

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