verde milanoverde a Milano

Diciamo subito, a scanso di equivoci, che la qualità del verde a Milano è indubbiamente migliorata, con qualche problema di clima e di mancata annaffiatura delle piante messe a dimora più di recente, ma diciamo anche che il “verde” è una questione che spesso è agitata a sproposito a far da ciliegina sulla torta di operazioni immobiliari che alla fine il verde lo gestiscono come uno spazio di risulta.

Nelle dichiarazioni comunali di politica “verde” tra le operazioni di trasformazione della città coinvolte se ne citano alcune ma un’assenza sembra vistosa, le aree ex Expo, quelle che gestirà Arexpo. Forse una ragione c’è.

Arexpo s.p.a. ha il compito di sviluppare l’intero sito di Expo 2015 in un parco scientifico e tecnologico di eccellenza globale.” Così recita la sua “mission” – modestia a parte – e lo fa tra difficoltà, come tutte le cose che hanno troppi padroni, troppi interessi e molte opacità.

La sua ultima mossa è di aver fatto un bando per la stesura di un masterplan e per la futura gestione dell’intera operazione, dopo che un primo bando per la semplice cessione delle aree era andato deserto: da pochi giorni ora è al lavoro una commissione giudicatrice per la scelta finale tra le due proposte rimaste in gara. Per il momento del contenuto dei progetti non si sa nulla.

Due questioni mi pare si aprano a proposito di Arexpo: una che riguarda il verde, legata alla “partecipazione” dei cittadini per la scelta relativa; l’altra, più generale, sulla partecipazione dei cittadini alla scelta del masterplan.

Quanto al verde, giro la palla al Municipio 8, nel cui territorio si trova Arexpo, che immagino nel quadro di Green City Milano potrebbe voler dire la sua insieme ai suoi cittadini su una scelta così importante in materia di verde. Ma potrà farlo? ne è legittimato? Ne dubito, visto la feroce difesa dell’operazione “privata” nella sostanza, meno nella forma.

L’altra questione, la scelta del masterplan, è analoga: i cittadini hanno voce in capitolo? Andrà a finire come per le aree della vecchia Fiera di Milano per le quali si fece la pantomima di un concorso e finì vincitore chi offriva di più al venditore. Tutti i salmi finiscono in gloria?

Chi dovrà, vorrà, scrivere la storia delle grandi trasformazioni territoriali milanesi, non potrà non scrivere una data, il 1990: a partire da quell’anno il Comune di Milano cessò di aumentare il proprio demanio di aree, saggiamente accumulato, e contemporaneamente iniziò a privatizzare e insieme con lui lo Stato. Privatizzare le aree e vendere le aziende.

Di chi erano le aree sulle quali è nata l’operazione di Hines Italia – Manfredi Catella – quella di Piazza Gae Aulenti, che prende le mosse dalla vicenda De Mico – FFSS – Varesine? Di chi erano le aree di CityLife? Dell’Ente autonomo Fiera Milano. Di chi sono le aree di Arexpo? Lo sappiamo? Di chi quelle degli Scali? Di chi quelle della Piazza d’Armi? In mano di chi finiscono? Di operatori privati. Forse ho dimenticato qualcosa, ma è chiaro che le grandi operazioni immobiliari partono dalla “trasmigrazione” di beni pubblici. E la partecipazione dei cittadini a parole c’è, ma la verità sta altrove.

Questa è la fine che fanno i beni collettivi di aree e le aziende pubbliche: ai privati e in Borsa. I privati, questo paradiso di gestioni “efficienti”, al di sopra di ogni sospetto, salvo poi vedere opachi intrecci tra casta, politica e affari. Per il bene della collettività, ovviamente, la maschera di Pantalone.

La sera, prima di coricarsi, qual è il pensierino della sinistra, sinistra centro, centrosinistra, sinistra-sinistra, progressisti campagnoli, a proposito dei beni comuni?

Luca Beltrami Gadola

FONTE

Di the milaner

foglio informativo indipendente del giornale

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