di Rosa Maria Corti

Il museo

A distanza di un anno, torno a proporvi una visita al Muzeum Susch, inaugurato nel 2019 dall’imprenditrice e collezionista polacca Grazyna Kulczyk, in Engadina, per una mostra “The measuring of time” dedicata a Laura Grisi (1939-2017), fotografa, pittrice e infaticabile viaggiatrice.
Si tratta di una mostra che solletica i nostri sensi, vista e udito in particolare, già a partire dalla prima saletta con una videoproiezione a terra di un film riproducente un vortice che risucchia tutta l’attenzione dello spettatore.

Nell’opera “Drops of water” del 1968, invece prevale la percezione uditiva; lo spettatore che ha avuto modo, attraversando gli spazi di questo Museo, già antico convento e poi birrificio (come spiegavo nell’articolo del 19 ottobre 2020), di toccare con mano la scabra anfibolite della grotta-cantina dei benedettini e di osservare la stillante roccia color alabastro su un fondo di ciottoli di fiume, che ci ricordano la vicinissima presenza del fiume Inn, ha anche modo di ascoltare le gocce di pioggia che cadono dall’alto, a ritmo regolare, in un grande recipiente di metallo verniciato.

Oggi fuori c’è il sole e la massiccia costruzione bianca del Museo si staglia contro l’azzurro cobalto del cielo di ottobre, eppure la Grisi riesce con le sue istallazioni a farci udire non solo la pioggia ma anche il sibilo del vento che fa turbinare i granelli di sabbia, quei granelli che l’artista, ma anche noi qualche volta al mare, abbiamo inutilmente tentato di contare. Il concetto d’infinito, il tempo che passa, la ricerca del rapporto spazio/tempo, sono proprio al centro dello studio di Laura Grisi, nata a Rodi ma vissuta per lunghi periodo in Africa, in Sud America e in Polinesia. In quei soggiorni, alla ricerca di tracce di popolazioni tribali minacciate dal modernismo occidentale, l’artista seguì spesso il marito Folco Quilici, illustrando talvolta i volumi di saggistica di quest’ultimo.

Alle popolazioni della Nigeria, dell’Alto Volta (Burkina Faso), del Niger, del Dahomey (Benin), del Togo, sono dedicati gli scatti che giganteggiano in uno dei grandi saloni del museo. Di più difficile lettura i lavori tridimensionali in cui l’alluminio incontra l’acciaio, il plexiglass (lucido, opaco, trasparente o corrugato) e il neon, con silhouette che appaiono e scompaiono a secondo di come si muove lo spettatore e cornici/finestra che inquadrano, sovra-inquadrano le immagini creando una molteplicità di piani.

Si può dire, certamente, che il tema del multiculturalismo e dell’ecologia qui sono presenti e che dal confronto con la natura, anche nel grado minimo, marginale e la cultura nelle varie parti del mondo, nascono le opere di quest’artista esponente della pop art dal 1958 al 1964 forse, a torto, poco conosciuta, alla quale questo museo consacrato alle donne, dedica una retrospettiva fino al mese di dicembre.

Di THEMILANER

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